martedì 5 luglio 2011

Maria Peritore: I pesci hanno un cuore semplice.


I pesci hanno un cuore semplice
di 
Maria Peritore


Il venti luglio dei miei dieci anni faceva davvero caldo in quella piccola spiaggia di Capo d’Orlando che mamma aveva scelto per me e mio fratello. Era, infatti, una baia sinuosa e accogliente simile ad una luna spaccata a metà, con pochi ombrelloni conficcati come freccette vicino all’arenile ed un mare dall’acqua cristallina. Peccato che dovevamo trascorrerci solo cinque giorni, poi, ci saremmo spostati in un’altra località vicina, dove ci aspettava papà finalmente in ferie. Per noi, invece, era il primo, vero giorno di vacanza. Colonizzato un piccolo rettangolo tra lo zig - zag di bagnanti distesi, mamma aveva immediatamente tirato fuori da un’enorme borsa di paglia due teli da mare e li aveva sistemati in modo perfetto sulla sabbia come tovaglie da pranzo e, dopo aver aperto una piccola sedia pieghevole, aveva iniziato il rito della svestizione. Mio fratello si era spogliato velocissimo, appallottolando la sua roba sulla piccola sedia, fremendo per un tuffo nell’immenso blu, e mentre io ero rimasto immobile ad osservarlo per via delle mie gambe malferme, la mamma, maneggiandomi amorevolmente come un manichino, mi aveva già tolto la maglietta e i pantaloni corti lasciandomi nel minuscolo costumino azzurro con le due strisce su un fianco. Infine, anche lei aveva sfilato via il suo vestito bianco mostrando tutta la sua giovane bellezza che risultava pienamente valorizzata da un bikini a fiori bianchi e azzurri. Senza pensarci, mi ero lentamente sdraiato sul telo per osservarla mentre raccoglieva i suoi lunghi capelli in una coda di cavallo e si apprestava poi a spalmarsi l’olio abbronzante su tutto il corpo. Con le sue mani affusolate aveva svitato il tappo di una bottiglia ambrata per ungersi prima un braccio, poi l’altro, il petto, la pancia e, via via, tutto il resto. Infine,  aveva fatto lo stesso con me. Io adoravo quella pratica, mi faceva sentire coccolato e mi rilassava.
Mio fratello, noncurante del nostro rituale, si era, invece, gettato tra le piccole onde azzurre dalle creste bianche e, urlando a squarciagola in direzione nostra, ci invitava al rinfrescante sollazzo. Io e la mamma, però, fingendo di essere sordi, avevamo preferito fare i tonni arenati sulla spiaggia; non avevamo intenzione di dargli retta, felici com’eravamo di catturare quei raggi del sole tutti per noi. Mio fratello, però, non era il tipo da arrendersi facilmente, e, tornato di gran carriera verso me e mamma, aveva iniziato a schizzarci con l’acqua salmastra mischiata a sabbia. Non contento delle sue prodezze, anzi, aveva rincarato la dose rivolgendosi a me: - Piccolo malaticcio di casa, vieni a farmi compagnia in acqua!..
Io, di contro, beato tra mamma e il sole, avevo appena sollevato la testa ricambiandogli un sorriso di sfida.
Dai su! Aveva insistito lui: - Ti prego, giochiamo insieme in acqua!
 La mamma un po’ contrariata, si era sollevata sui gomiti che affondavano nella sabbia, lo aveva rimproverato aspramente e, passandomi una mano sulla testa per ricompormi la chioma arruffata e impiastricciata dal fastidioso scherzo di mio fratello, aveva finalmente posto fine alla diatriba. Per conto mio, non avevo nessuna voglia di fare il bagno, anzi, mi ero girato sulla pancia a guardare dritto davanti a me. Ad un metro e mezzo dal punto in cui stavo disteso, c’era una donna sdraiata su un fianco che stava leggendo un libro. Aveva dei lunghi capelli biondi, sottili e scintillanti. La pelle chiara, arrossata dal sole la faceva somigliare ad un’aragosta, uguale a quelle che si vedono negli acquari al ristorante e, la bocca, che teneva semichiusa per pronunciare a bassa voce tutte le parole che leggeva, era carnosa e colorita come un frutto maturo. Osservandola nei suoi movimenti lenti e impercettibili, accentuati ancor di più dal costume nero pieno di lustrini luccicanti, che sembrava tenerla prigioniera, non riuscivo a distoglierle lo sguardo. Poi, però, come mio solito, ero tornato a perdermi nel vuoto, rapito dalle mie fantasie accompagnate  da brevi risate senza senso, e dalle conversazioni di un gruppo di ragazzi poco distante. Ritornato in me, mi ero rivolto alla mamma: - Dimmi, secondo te, quante specie di pesci ci sono in questo pezzettino di mare?
Lei, un po’ sonnecchiante, con la voce impastata, mi aveva risposto: - Non saprei, tesoro, secondo me pochine.
Ed io..: - Mamma, secondo te quante specie di pesci ci sono in questo pezzettino di mare?
La mamma, a quel punto, mi aveva risposto semplicemente scuotendo la testa in segno di resa. Io allora le avevo detto con sicurezza: - Qui di certo ci saranno sogliole o rane pescatrici, in questi fondali sabbiosi non trovano terreno fertile cernie e murene..No, decisamente è inutile andare a caccia di pesci da tana.
Preso dalle mie elucubrazioni, avevo deciso di sollevarmi un po’ per guardare il mare immerso nella luce del sole, con le sue migliaia di monetine dorate galleggianti sul pelo dell’acqua leggermente increspata che poi si disperdevano fino a scomparire nella linea blu e netta dell’orizzonte. Allora mi era anche venuta voglia di fare il bagno e di stuzzicare mamma per invogliarla ad accompagnarmi. Lei, dopo ripetuti tentativi falliti, si era alzata dal telo, dritta come il soldatino di stagno, mi aveva sollevato per le braccia borbottando: - Sei il solito rompiscatole, tesoro..ma va bene, dopo tutto con questo caldo rinfrescarsi non guasta di certo.
Per via dell’acqua piuttosto fredda, avevo fatto fatica a bagnarmi completamente, ma poco per volta, abbandonato il sostegno di mamma, mi ero convinto a tirare indietro la testa e a muovere braccia e gambe per nuotare. Mio fratello, nel frattempo, aveva preso nota dei miei movimenti piuttosto scoordinati ed era scoppiato in una sonora risata apostrofandomi così: - Sei un burattino senza fili, non immagini neppure quanto tu sia buffo!
 Io, invece, come se nulla mi turbasse, gli ripetevo: - Sono il pescecane, sono il pescecane e ti mangerò!
Mamma, però, non aveva gradito quel nostro simpatico contraddittorio, convinta che gli occhi di tutta la spiaggia fossero puntati su di noi; aveva sperato di ricondurci all’ordine, ma senza ottenere alla fine alcun risultato.
Morale della storia, mio fratello era rimasto a sguazzare in acqua e io e mamma eravamo tornati a fare i tonni a pancia insù. Anzi, io, a pancia ingiù, avevo ripreso ad osservare la donna dai capelli biondi che stava seduta sul suo telo da mare a sorseggiare un po’ d’acqua, mentre delle gocce le scivolavano dagli angoli della bocca per poi colare in rivoli sottili sul petto e sulla pancia. Disinvolta lei con il suo libro..
Intanto che continuavo ad ammirarla, non capivo cosa mi stesse accadendo, perché, portando leggermente la testa indietro, avevo provato un senso di smarrimento, come se un improvviso black-out mi avesse spento la vista, mentre di colpo, palline scure attaccate alle pupille avevano cominciato a migrare fluttuanti verso l’alto, restituendomi poco per volta le ombre di bagnanti, accompagnate dai loro corpi. Riavutomi dal buio improvviso, non avevo battuto ciglio, e, preso da un impulso irrefrenabile, mi ero rivolto alla donna dai capelli biondi: - Signora, cosa leggi?
La donna, sollevato lo sguardo verso me: - Sto rileggendo Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway.
Ed io di nuovo: - Signora, cosa leggi?
La donna niente affatto contrariata mi aveva risposto nuovamente.
Ma io..: - Signora cosa leggi?
La mamma aveva deciso a quel punto di porre fine a quella mia richiesta petulante, rivolgendosi alla donna dai capelli biondi: - Signora, perdoni Angelo e la sua insistenza, è un ragazzino dolcissimo, ma, come avrà capito, anche molto particolare..
Allora, la donna dai capelli biondi, mi aveva guardato con un sorriso complice e pieno di sole, dicendomi: - Angelo, ho intuito che ti interessa il mio libro, puoi farmi tutte le domande che vuoi, non preoccuparti, io mi chiamo Claudia.
Quel nome mi aveva fatto capire immediatamente tante cose, così come i suoi occhi verdi che sapevano d’alga marina. Lei, limpida e semplice, era subito penetrata in me spettinandomi viscere e cuore.
Incoraggiato dalle sue parole, ero tornato alla carica: - Claudia di cosa parla il tuo libro?
E Claudia: - Narra di un vecchio di nome Santiago, di un ragazzino chiamato Manolo e di un grosso pesce.
- Un grosso pesce? - avevo detto io..: - E che genere di pesce?
Claudia: - Sì Angelo, un enorme pesce spada.
- Uh, un enorme pesce spada, bellissimo!.. le avevo detto io: - Ma tu sai che io so tutto sui pesci?
 E Claudia: - Davvero? Cosa sai sui pesci?
Io: - Conosco perfettamente come funziona il loro stomaco, l’apparato respiratorio..e, poi ancora..: - Tu sai che i pesci hanno un sistema circolatorio chiuso, molto semplice, come un circuito elettrico, dove il sangue passa una volta sola, e il cuore è piccolissimo, posizionato vicino alle branchie? Claudia con un’espressione sorpresa mi aveva accarezzato il viso sollevandosi sulle ginocchia, mentre io continuavo a dirle: - Sì, so tutto sui pesci, hanno un cuore semplice, so tutto sui pesci.. ora, se vuoi ti spiego bene come si chiamano tutte le pinne che si trovano nel loro corpo, come funziona lo stomaco in tutte le sue parti e il cuore piccolo col suo circuito chiuso, e il modo in cui respirano…
Claudia perentoria mi aveva allora detto: - Tu ed io leggeremo insieme il mio libro e tu mi parlerai dei pesci..
 Io, pervaso da un’insolita euforia, poiché non ero mai stato assecondato da un estraneo in modo così disinvolto, avevo acconsentito. Non mi era sembrato vero di poter trascorrere il tempo con  lei a leggere, a parlare di pesci, a stare semplicemente in silenzio in quegli unici magnifici cinque giorni a disposizione. Tempo che, a me, era sembrato cristallizzarsi per poi raggiungere la dimensione di un sogno fatto di conoscenza, piccoli gesti, risate e arricchito di tanti pensieri a voce alta, in grado di far scomparire improvvisamente la minuscola spiaggia in cui mi trovavo. Quella tempesta emotiva, infatti, aveva risucchiato pure mia madre e mio fratello, lasciando da soli me, lei e l’eco dei flutti di una storia avvincente, me e lei seduti sopra lo stesso telo, sotto lo stesso cielo abbagliato dal sole, con gli sguardi incollati sulle pagine e le mani intente a far scorrere granelli di sabbia tra il pugno e la vita. Me, Claudia e il suo cuore semplice.

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