mercoledì 6 luglio 2011

Giuseppe Merico, Io non sono esterno.


Merico: Io non sono esterno
di 
Giulia Guida
Liberi di scrivere 14 marzo 2011



Amore, interno notte. 
[Rileggendo "Io non sono esterno", G. Merico]

"Io non sono esterno" è la radiografia di una storia d'amore girata in interni.
Dove interno è lo spazio, sempre chiuso e ricurvo, ingobbito dal buio, che si racconta da dentro e immagina il fuori. E il fuori è un deserto con gli occhi grigi della tangenziale, la voce roca del treno quando sferraglia sulle rotaie, lo scricchiolio delle carcasse di ferro da uno sfasciacarrozze, lo stridere del vuoto sugli scaffali di un supermercato fuori paese,  il silenzio metallico di una periferia industriale, il cigolio di due tutori malandati legati ai piedi, lo sfrigolio stanco di una macchinetta del caffè, la puzza della rassegnazione tra le cosce di una madre, l'odore del sangue annidato tra le mani di un padre.
Interni sono un padre e un figlio, perché questa è una storia di maschi, dove le donne restano al margine, comparse occasionali di un cinema muto, trascinate sulla scena dai fili invisibili delle voglie e dei bisogni dei loro uomini.  Dove le donne sono facce sconvolte da un terrore folle, sempre con le mani sulla bocca a coprire l'angoscia, rinchiuse in cucina a fare il caffè, solo il caffè. C'è una madre che subisce e non parla. E' una madre che sa tutto e gira la testa. E vorrebbe solo essere esterna, solo essere fuori, in un fuori lontano che non abbia la pancia cava di un cratere lunare.
Interno è l'amore tra un padre e un figlio.
Un amore che si esaspera fino al punto di saper esistere solo nella tenerezza dell'orrore.
E non ha altro modo di essere, perché è una frattura che rompe il tabù dell'incesto, è un amore consanguineo cresciuto dentro due solitudini claustrofobiche, è un dolore scandaloso che prende le ossa e le spolpa di un piacere morboso, ossessivo, dissacrante.
E' la storia di un padre, che è anche un figlio. E la storia di un figlio, che è anche un padre.
E' un amore sovversivo, perché sovverte la naturale gerarchia dei ruoli familiari, la scuote dalle fondamenta per consumarsi nell'istinto del sangue, che annulla i vincoli, abbatte le sovrastrutture e si esaurisce nella carne sotto forma di energia animale, nell'esplosione oscena del bestiale contro il muro delle convenzioni sociali.
Ed è un amore che solo nel selvaggio può vivere, nell'anomia del selvaggio, nella perdita del nome, nella sottrazione e profanazione dell'identità.
E' una storia d'amore, che è anche una guerra.
Il conflitto archetipico tra il padre e il figlio, che in questo caso, dato il sovvertimento dei ruoli, vede un continuo alternarsi delle posizioni del dominato e del dominatore, del segregato e del segregatore, dell'interno e dell'esterno.
Perché a non essere esterno non è soltanto la voce narrante, il bambino con i piedi guasti e troppo zucchero nel sangue, rinchiuso in uno scantinato dal padre. Ma è soprattutto questo padre a non saper essere esterno, a non saper come altro essere, a non riuscire ad uscire da se stesso, dalla maledizione del proprio passato, che continua a perpetuarsi attraverso il suo amore violento, la sua rabbia carnale, la sua necessità del possesso.
L'interno finisce, dunque, per diventare l'unica dimensione in cui un rapporto è possibile, in cui l'incomunicabilità si sfalda, seppur nello stupro, nella privazione, nella barbarie.
Con questa prima prova narrativa, Giuseppe Merico ci offre la possibilità di affacciarci su uno squarcio di buio che ci fa franare la terra sotto ai piedi. Ha voluto fotografarci l'angoscia, vivisezionando l'orrore, senza rassicurazione alcuna. Ha scelto di parlarci di un amore che non ha le gambe per scappare e, anche se ce le avesse, non è poi così certo che scapperebbe. Ha trovato la voce per raccontarcelo e una scrittura fatta di fotogrammi fulminanti, istantanee dolorose, che scava a fondo e non si rimargina.

Autore: Giuseppe Merico
Editore: Castelvecchi
Collana: Le Torpedini
Pp: 154
Prezzo: 14,00

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