Silvana
De Lugnani
I
dolori del giovane Werther
Quando Goethe nel 1789
ricordava in uno dei suoi Epigrammi
veneziani come anche i cinesi decorassero le loro porcellane con le figure
di Lotte e Werther, il successo del suo romanzo giovanile I dolori del giovane Werther era entrato a far parte ormai di realtà
caratterizzante la cultura europea dell’ultimo ‘700. Il Werther è la prima
opera della letteratura tedesca che abbia trionfalmente varcato i confini
nazionali: già prima della fine del ‘700 si contavano quindici traduzioni
francesi, dodici inglesi e tre italiane. Se il successo fu indiscutibile, esso
non fu però incontrastato, soprattutto nella Germania di stretta osservanza
luterana. Anche in Italia però non mancarono le resistenze se il vescovo di
Milano mobilitò il clero della sua diocesi per acquistare – e così togliere di
circolazione – tutte le copie esistenti della prima traduzione italiana.
In Germania la polemica
antiwertheriana raggiunse toni elevatissimi, come dimostrano i numerosi testi
che parafrasano quello goethiano parodiandolo o esplicitamente condannandolo. Le
virulenza con cui censori e benpensanti si accanirono contro il Werther oltrepassa di molto i limiti di
una normale querelle artistico-
letteraria e testimonia della profonda carica rivoluzionaria implicita in
questo romanzo apparentemente solo sentimentale e lagrimeggiante. Nelle vicende
di Werther i contemporanei non videro solo la storia di un amore infelice,
bensì la sfida a tutti i prìncipi che reggevano la società tedesca dell’epoca,
sfida che – paradossalmente – proprio con il suicidio di Werther risultava
vittoriosa.
Molto è stato detto e
scritto sulla personale storia d’amore di Goethe per Charlotte Buff, storia di
cui il romanzo non sarebbe che una riproduzione più o meno fedele. È indubbio
che il ricordo dell’amore per la giovane Lotte, che Goethe conobbe nell’estate
del 1772 a Wetzlar durante il suo periodo di pratica forense presso il locale Tribunale
imperiale, abbia suggerito non pochi spunti al romanzo: la famiglia numerosa di
Lotte, l’incontro al ballo, il colloquio del 10 settembre alla vigilia dell’improvvisa
partenza di Werther, corrispondono talvolta – anche nei minimi particolari –
alla realtà biografica di Goethe. Ma come l’Alberto non corrisponde al Johann
Kestner, fidanzato e poi marito di Lotte Buff, così anche gli altri personaggi
vanno considerati nella loro autonomia; volerne ricercare a tutti i costi la
corrispondenza con persone realmente vissute, significa snaturarli e deformarli
nella loro compiutezza artistica. Ciò è tanto più valido per la figura di
Werther e per i tentativi di una sua identificazione parziale o totale con il
giovane avvocato Johann Wolfgang Goethe. Fu Goethe stesso – nella risposta a
Kestner che gli aveva scritto rimproverandolo di aver creato le figure del
romanzo sovrapponendole a quelle reali – ad affermare recisamente l’intangibile
compiutezza della sua creazione artistica e il suo diritto a una vita propria: “Werther
deve, deve vivere! – Voi non sentite lui, voi sentite soltanto me e voi, voi
malgrado e malgrado altri, intessuto”.
Volersi poi rifare all’interpretazione
di Kestner, che vedeva nel Werther della prima parte del romanzo il giovane
Goethe ed in quello della seconda parte Karl Wilhelm Jerusalem, significa
distruggere l’unità del personaggio. La spiegazione di Kestner si giustifica storicamente
e personalmente con la necessità di proteggere in qualche modo la propria
famiglia dai pettegolezzi e dalle insinuazioni che la stavano mettendo a dura
prova, ma non ha – sul piano artistico – alcun fondamento. Werther rimane
Werther dall’inizio alla fine, coerente, nelle sue azioni e nei suoi pensieri,
alla sua propria, indivisibile, unica personalità.
Rivendicare ai
personaggi e alle vicende del romanzo un’esistenza e uno sviluppo propri non
vuol dire però negare l’importanza di determinate situazioni per la genesi del
romanzo stesso: dalle esperienze sentimentali del Goethe – e non solo da quella
con Lotte Buff – trae vita ed immediatezza la passione amorosa di Werther. È bene
ricordare a questo proposito che, tra la separazione di Lotte (settembre 1772)
e la composizione del romanzo (primavera 1774) trascorse un anno e mezzo e che
nel frattempo il cuore di Goethe si era acceso di nuova passione per la bella
Massimiliana La Roche, fidanzata e poco dopo sposa del commerciante Antonio
Brentano. Come l’esperienza diretta delle gioie e delle pene d’amore, così è
rilevante il ruolo avuto, nella genesi del romanzo, della notizia del suicidio
del giovane segretario d’ambasciata Karl Wilhelm Jerusalem. Non sono solo le
esplicite dichiarazioni fatte da Goethe nell’autobiografia ad avvalorare questa
affermazione, ma anche il viaggio improvviso che egli fece a Wtzlar dal 6 al 10
novembre del ’72 (cioè immediatamente aver appreso la notizia) e il rapporto
dettagliato che richiese a Kestner sulle circostanze del suicidio.
Goethe aveva avuto
occasione di incontrare Jerusalem già a Lipsia, all’inizio dei suoi studi, e l’aveva
rivisto poi a Wetzlar; ma si trattava di una semplice conoscenza superficiale,
non certo di un rapporto di amicizia, tale da giustificare una reazione e un
interesse così vivi. Agli occhi dell’opinione pubblica il suicidio di Jerusalem
venne motivato da un amore infelice che egli avrebbe nutrito per la moglie del
segretario von Hofler. In realtà le cause furono molteplici e anche se questa
passione ebbe parte nella disperazione di Jerusalem – come quella per Lotte
nell’abbattimento di Werther – non ne fu certo causa unica e prima. L’inesistenza
con cui vennero ribadite le ragioni “sentimentali” del suicidio di Jerusalem
appare voluta e servì a distogliere l’attenzione da quelle che probabilmente
furono le radici più profonde del gesto del giovane segretario d’ambasciata,
cioè quelle sociali. Kestner, nel suo rapporto a Goethe, scrive: “Mi sembra che
l’ambasciatore cerchi di distogliere completamente da sé l’attenzione e di
indirizzarla su questa storia d’amore, giacché sono stati anche i dispiaceri
causati da lui a determinare Jerusalem: tanto più che l’ambasciatore aveva
richiesto parecchie volte il richiamo di Jerusalem ed anche recentemente gli
aveva procurato dei gravi rimproveri dalla corte”.
All’origine della
depressione di Jerusalem è da porre innanzitutto lo stato di umiliazione e
dipendenza in cui egli si veniva a trovare nei suoi rapporti sociali e
professionali. Ciò che importa sottolineare è che la situazione di Jerusalem
non era un caso personale, ma rispecchiava quella di un’intera classe sociale –
la borghesia – in un momento cruciale del suo sviluppo storico. In questo senso
si può dire che Werther è sì Jerusalem, ma solo in quanto la sua condizione
storico-sociale è quella di Jerusalem e di altri come lui e il loro problema è
quello “dell’umanesimo borghese, il problema del libero e largo sviluppo della
personalità umana”.
Giovane, non privo di
mezzi e conoscenze, dotato d’intelligenza, cultura e sensibilità, Werther è il prototipo
dell’intellettuale borghese tedesco “alle soglie della vita”. Le caratteristiche
di cui è dotato dovrebbero garantirgli il successo, ma sono proprio queste –
rapportate alla sua origine borghese ed alla posizione storica della borghesia
tedesca – che lo condurranno al suicidio. Spezzettata dal Trattato di Westfalia
del 1648 in 350 stati e staterelli, dotato ciascuno di sovranità propria, la
Germania si trovava nel secolo XVIII in condizioni estrema arretratezza,
storica ed economica, rispetto a nazioni quali la Francia e l’Inghilterra. Tale
stato di cose aveva reso difficile e faticoso il cammino della borghesia per
potersi affrancare, almeno in parte, dalla schiavitù delle corti e dell’aristocrazia.
Alla mercé di un dispotismo tanto gretto quanto illimitato, ostacolata
economicamente dalla selva di barriere doganali che si ergevano tra stato e
stato, priva di un’unità nazionale, la borghesia tedesca non aveva potuto
raggiungere quel grado di compattezza e consapevolezza che in Francia e in
Inghilterra aveva permesso alle borghesie locali di raggiungere a ogni livello –
economico, culturale, politico – posizioni di grande rilievo. Frustrata nelle
sue aspirazioni di sviluppo economico e politico, la borghesia tedesca cercò di
affermare, almeno sul piano culturale, una sua indipendenza dalle corti,
stimolata anche dagli impulsi nuovi che in questo campo provenivano dalla
Francia e soprattutto dall’Inghilterra. Come in questi paesi, anche in Germania
l’Illuminismo fu il movimento ideologico-culturale della borghesia, portatore
della sua lotta per la conquista dei suoi diritti nei confronti della classe
aristocratico-feudale. Si venne così a stabilire un’etica squisitamente
borghese, basata su valori quali l’onestà, la rettezza d’animo e di cuore, lo
spirito di sacrificio e di rassegnazione, contrapposti agli orpelli, la
corruzione, la falsità e la vanità delle corti. Il richiamo illuminista alla
ragione come fattore di progresso e di emancipazione corrispondeva
perfettamente a quest’etica che era anche un’etica del lavoro, della
produttività, della “razionalità”. La conquista di uno spazio di valori morali
e culturali autonomi nei confronti dell’aristocrazia – detentrice di nome e di
fatto di ogni potere politico – era parsa a una parte della borghesia,
soprattutto a quella intellettuale (scrittori, teologi, funzionari), un punto
di arrivo da difendere e mantenere. Le nuove generazioni sentivano invece con
particolare intensità la provvisorietà delle conquiste raggiunte e ne
reclamavano il superamento per conseguire, anche sul piano sociale, economico e
politico, posizioni più avanzate. In questa situazione è radicato il Werther,
come tutto il movimento letterario dello Sturm und Drang, di cui il Werther
rappresenta una delle espressioni più alte. L’appartenenza ideologica dello
Sturm und Drang all’Illuminismo – tesi affermata ed efficacemente sostenuta da
Luckàcs in polemica con quegli studiosi che ne facevano un’anticipazione del
Romanticismo in contrapposizione all’Illuminismo – si spiega tenendo conto
delle acute contraddizioni interne presenti nel seno della borghesia stessa,
nella quale tendenze conservatrici ne frenavano l’ulteriore evoluzione,
contribuendo così al permanere di quei pesanti residui feudal-assolutistici che
per tanto tempo ancora costituirono una vera palla al piede per lo sviluppo
politico-sociale della Germania.(...).
* Testo: dall’Introduzione
a cura di Silvana De Lugnani a I dolori
del giovane Werther di Wolfgang Goethe, Rizzoli, BUR Superclassici SC8,
1991 II edizione.
** Copertina: I dolori del giovane Werther di Wolfgang
Goethe, Rizzoli, BUR Superclassici SC8, 1991 II edizione, scaricata free copy
da internet.