domenica 25 settembre 2011

Gianluigi Ricuperati, Serenata "critica" ai miei editor

Gianluigi Ricuperati
Serenata "critica" ai miei editor
Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2011



L'editing non è una questione letteraria. Non è l'undicesimo comandamento, trovare sempre le mot juste. Non è un lavoro di lima, né la mania di cancellare gli aggettivi, o correggere il punto di vista. L'editing di un romanzo è una fuga dalla distrazione. Non c'è stato mai, prima d'ora, un frangente storico in cui l'uomo si sia trovato così a contatto con voglie, necessità risolte, impulsi accessibili spenti e accesi. L'era digitale è soprattutto questo, e non c'è nulla di intrinsecamente negativo; è la materia di cui siamo fatti: corpi poco celesti, lanciati nella cronaca universale della distrazione. Tutto va bene, fino a quando non si firma il contratto per scrivere un romanzo, e lo si scrive di nuovo, e lo si scrive una terza e una quarta volta, e l'editore è qualcosa di diverso dal misto di ufficio stampa e distribuzione che sono diventati molti marchi anche prestigiosi. Vorrei raccontare come l'essere umano più distratto del mondo si è trasformato in un romanziere. Quell'essere umano non è chi scrive. Sei tu che leggi – e hai un libro nel cassetto, oppure no, ma molto probabilmente sì – e non riesci più a leggere venti pagine di seguito perché potresti morire senza consultare la posta elettronica, e suoni la tastiera del telefono come un piccolo piano cieco, e se ora inserissi in questo articolo il nome di Trisha Donnelly, senza alcun motivo, andresti subito a vedere chi è. E nel tuo cervello si agiterebbe una festa di connessioni senza fine, in cui pensi tre cose contemporaneamente, volendo essere tre persone diverse nella medesima mattina, assorbendo ogni discorso ascoltato al ristorante, in metropolitana, sotto il rombo ipnotico di un volo che sta per decollare. Il mondo nella testa, e il mondo senza testa, e la testa senza mondo: così scriveva Elias Canetti suddividendo i capitoli di Auto da Fè, nel 1935. Ora puoi immergerti in tutte le interpretazioni del Quartetto opera numero 15 di Beethoven, suonato dagli Emerson, dal Quartetto Italiano, dal Tokyo Quartet e altri ancora; o puoi passare in rassegna film stupefacenti soltanto scorrendo la lista della Criterion Collection, da I fidanzati di Olmi a Bigger than Life di Nicholas Ray, e poi farti catturare dalla «Virginia Quarterly Review», una magnifica rivista letteraria americana, oppure tuffarti in un nuovo libro fotografico su David Bowie, o nelle immagini di Popeater.com. L'universo conosciuto è infinitamente ricco di cose più concluse di te, e più urgenti, e più vicine che mai: e l'offerta culturale è solo un frammento di un frammento. Ma la curiosità può portare alla disperazione, ed è la peggior nemica della stesura di un romanzo: è infernale, ma è anche la sola promessa mantenuta nell'esistenza psichica privata di vere credenze. Ecco il punto. Per far venire al mondo un romanzo con un certo grado di serietà devi credere in qualcosa. E devono crederci i tuoi editori, perché si pubblicano migliaia di volumi alla settimana, e la concentrazione è una delle forme inerenti a qualsiasi fede.
Ho scritto un romanzo che ha per protagonista un vero e proprio mago dell'assenza di concentrazione: ossessionato dal l'idea di farsi prestare denaro, e ossessionato dal bisogno di cambiare faccia ogni volta che risorse, voglia, energia vengono meno. Inizia come allievo di una scuola di giornalismo, poi si mette a fare l'artista concettuale, poi l'impresario teatrale, poi l'architetto, infine il consulente d'azienda, e sempre, dietro a ogni mutazione, c'è uno scambio instabile tra il denaro e l'amore degli altri, tra il denaro e le sensazioni, tra le cifre che si contano e il bene che non si dovrebbe mai contare. Credo che il delirio finanziario sia un efficace correlativo del problema della distrazione, e se c'è qualcosa che vale in questo personaggio, sta proprio lì: per quanto fatichiamo ad accettarlo, siamo tutti molto più simili agli operatori di borsa, fissi davanti ai loro numeri in fibrillazione globale, come in una guerra di trincea che trasforma la malinconia in profitto.
Ho lavorato per quattro anni, redatto quattro diverse stesure, perché ho incontrato degli editor (Martina Testa, Christian Raimo e, soprattutto, Nicola Lagioia) che credono che un libro non debba uscire fino a quando non è teso al massimo delle sue possibilità, un ideale insieme classico e radicale. Può essere migliore. Preoccupati solo del testo. Individui del genere possono frustrarti, farsi maledire, rompere a metà le notti in cui la meta sembra irraggiungibile. Ma se in cambio giunge la concentrazione, ne vale la pena. E la concentrazione, alla fine, è arrivata. L'editing ha aiutato l'autore a credere che non c'era nulla di più importante che mettere a fuoco questo personaggio incapace di mettere a fuoco gli altri. L'autore ha passato anni a minacciare il personaggio di dargli fuoco. Infine il personaggio si è salvato, perché ha resistito, dimostrando di avere diritto a esserci. Ecco a cosa serve lavorare così: scrivere fino quasi a perderlo, il libro, e poi vedergli riprendere consistenza, piano piano, come si recupera il rapporto con un amico. Ecco cosa viene da pensare al termine di tutto il processo: dagli altri vorrei essere editato, perché con l'editing si può sempre ricominciare da capo. Perché l'editing è una pratica violenta e diretta verso un bene intangibile e superiore: un percorso esistenziale, qualcosa di sospeso a metà fra il rito, la confessione e l'imperativo reciproco. L'editing, così inteso, è assai più che un problema tecnico, è un modo per diventare bambini migliori.


Produzione, Gianluigi Ricuperati, Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2011
Copertina, free copy da internet, Picasso
 

sabato 24 settembre 2011

Stefano Salis, Il correttore che non è automatico

Stefano Salis 
Il correttore che non è automatico


Il Sole 24 Ore 13 marzo 2011



Siete un autore alle prime armi. Avete pensato, dopo tanta fatica e tante esitazioni, che il testo sul quale lavorate, magari anche duramente, da anni finalmente è pronto. Vi decidete di inviarlo alla casa editrice, lo mandate a leggere a un amico fidato, sondate la possibilità che qualcuno che non sia della vostra cerchia possa dare una lettura professionale al vostro manoscritto. Bene. Siete pronti a imbattervi nell'Assioma Fondamentale di Tutti i Testi Scritti: il vostro testo non va bene! Ci dovete lavorare, ci dovrete lottare a lungo, e non è detto che vinciate voi; il cestino ha armi molto potenti che arrivano direttamente alla vostra coscienza.
Non spaventatevi, però, né scoraggiatevi. Siete in ottima compagnia e ciò di cui avete bisogno non è altro che... editing! Ossia il giudizio e l'opera di un professionista della scrittura e della lettura che individui punti deboli, incongruenze, frasi fatte, sciocchezze vere e proprie, inesattezze di vario tipo: non temete, perché la vostra voce, se c'è, verrà fuori comunque; e anzi: in molti casi verrà fuori solo dopo che avrete subito una salutare dose di editing.

Il caso di editing più famoso della storia, lo vedete in queste pagine, dovrebbe, del resto, rinfrancarvi. Thomas Stearns Eliot, nel 1921-22, va redigendo quella che sarebbe diventata l'opera poetica capitale del Novecento inglese (e non solo). Durante una delle stesure, quella che a lui sembra possa andare, la affida a un altro gigante della poesia: l'amico Ezra Pound. Che gliela massacra senza pietà e gliela migliora in modo sublime. Tanto che Eliot dedicherà The Waste Land proprio a Pound, con una citazione dantesca: «Al miglior fabbro».
Non è raro, del resto, vedere che un autore dedichi l'opera che finalmente va in stampa con il suo nome ben scritto in copertina a chi, materialmente, ha fatto da levatrice per il testo, lo ha reso degno di venire al mondo. Solo per restare a casi recenti, possiamo citare Stefano Benni che dedica, commosso, Elianto a Grazia Cherchi, una delle editor più celebri della letteratura italiana contemporanea: «un'amica che non c'è più, e che fino all'ultimo mi è stata vicina in questo libro come in tutti i miei libri con i suoi consigli, la sua allegria, la sua intelligenza» e, pescando tra le novità in libreria, Luca Bianchini, il cui recente Siamo solo amici è per Joy, editor interna di Mondadori.
Ecco: il nome di Grazia Cherchi, almeno in Italia, è uno spartiacque decisivo per la pratica e la percezione esterna del lavoro dell'editor, che, tutto sommato, resta quasi sempre una figura oscura della macchina editoriale, sovrastato da autore, editore e, a volte, traduttore. «Lavorava con pochi scrittori, Grazia – ricorda uno scrittore e oggi dirigente editoriale come Antonio Franchini –. E se li sceglieva lei. Selezionava in base a caratteristiche di stile dell'autore, certo, ma anche e soprattutto in base a caratteristiche umane. Il suo era un editing artistico, ma oggi un atteggiamento come il suo sarebbe impensabile. Io ho avuto la fortuna anche di vedere fare editing a un poeta come Raffaello Baldini, altro straordinario personaggio. Erano esponenti di un editing invasivo: in qualche modo, si spendevano su ogni singola riga, su ogni singola parola. Ma ho visto anche dei testi lavorati da vecchi redattori einaudiani; piccolissime modifiche sul testo, una virgola, una posizione di parola: interventi minimi eppure fondamentali».
Franchini, che è stato a lungo il decisore finale sui testi della letteratura italiana del più grande editore del paese, la Mondadori, ha oggi una degna erede in Giulia Ichino. «Bravissima e preparatissima, come molte sue colleghe. Anche perché oggi è molto più complesso fare l'editor di quanto non succedesse solo venti anni fa». Già. Cosa è successo?
A parte l'aumento esponenziale del numero di manoscritti da valutare, si è elevato anche il livello medio dei testi degli aspiranti scrittori. Un punto di vista che accomuna editor di lunga data come Franchini e Alberto Rollo, espertissimo cacciatore di testi per Feltrinelli. «Sono più professionali, le nuove generazioni di editor, e io segnalo volentieri il lavoro che sta facendo con me in Feltrinelli, Carlo Buga. Poi ciascuno interpreta l'editing in maniera leggermente diversa: chi è più invasivo, chi si limita a vedere se c'è il testo o se non c'è». In generale, però, non solo è cresciuta l'attenzione mediatica sulle pratiche di costruzione del libro (e prova ne sia che un intero festival come il riuscitissimo «Libri Come» dell'Auditorium di Roma sia interamente dedicato a questi argomenti), ma anche da parte degli autori c'è maggior rispetto su quello che Rollo chiama «non il lavoro di editor ma "lo sguardo di un altro"». Gli autori non solo accettano di buon grado l'editing ma, spesso, lo richiedono «e se la casa editrice non glielo offre – sorride Rollo – pensa che ci sia qualcosa che non va».
«A volte gli editor salvano i libri – spiega Matteo Codignola, direttore editoriale di Adelphi – ma a volte li sfigurano. In compenso, quasi sempre si lamentano: della paga (scarsa), della visibilità (idem), degli editori (inetti), degli autori (idem). Non è colpa loro, tuttavia, ma di un sistema ambiguo, che a volte fa rimpiangere quello precedente. Dove l'editore (con la -e finale) trattava con gli autori, faceva i suoi conti, e alla fine decideva se comprare o no un certo libro: affidandolo, da quel momento in poi, ai redattori, che non si sentivano ancora oltraggiati dalla qualifica. Quanto ai libri, si dava un'aggiustatina alle magagne – ma se ti erano arrivati sul tavolo, significava che non ne avevano poi molte». Una posizione, quest'ultima, che Vincenzo Ostuni, oggi editor per Ponte Alle Grazie, dopo aver girato altre case editrici, sembra condividere. «L'editing, per quanto mi riguarda, è una specie di male necessario, quando va bene, ma lo si deve fare per libri che siano strettamente necessari. È un mestiere che normalmente appiattisce e fa male ai libri, ma quando decido di pubblicare un libro la mia prima preoccupazione è quella di salvaguardare l'eccentricità dell'autore, non piegare verso l'appiattimento sulle aspettative del mercato. Lo considero un dovere etico».
Ostuni mette l'accento su uno degli aspetti più delicati del lavoro, che spesso è stato il nodo del contendere nelle polemiche che tornano nel piccolo mondo letterario. L'editor (qui nella doppia accezione di colui che lavora sui testi, ma anche di colui che decide se pubblicarli) ha un'influenza diretta, e spesso molto più forte di quanto non si pensi, sulla forma e lo stile della narrativa corrente.
Da un lato ci sono infatti ottimi professionisti esterni in grado di garantire che il livello del testo sia ben oltre gli standard di pubblicazione. E molti autori affermati, sono in grado di "imporre" alla casa editrice i loro editor di riferimento, scavalcando o, per usare un eufemismo, "lavorando in accordo" con gli editor interni. Tra i tanti professionisti che si possono citare Laura Lepri (nostra collaboratrice, succeduta, tra l'altro, a Peppo Pontiggia nella sua scuola di scrittura), che all'epoca seguì la Tamaro, o Sergio Claudio Perroni, traduttore e anche agente che, in veste di romanziere ha voluto che nella bandella di presentazione dell'autore vi fosse scritto che era stato editor di alcuni dei maggiori successi letterari italiani (Veronesi, per esempio). E c'è spazio anche per casi come quello di Raffaella Lops, un passato di libraia, che si imbatte nel manoscritto della Solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, aiuta l'autore nell'editing e poi riesce a convincere Mondadori, scoprendo così uno dei più vividi talenti letterari e uno dei maggiori bestseller degli ultimi anni. Operazione che oggi tenta di ripetere con Donatella Di Pietrantonio, uscita con Elliott, e forse candidata allo Strega.
Ma pur essendoci spazio per i consulenti esterni è all'interno delle case editrici che sta crescendo una nuova nidiata di editor (intesi sia come "correttori" e "manipolatori" dei testi, sia come cacciatori di libri e autori) che sta mettendo la firma sulla narrativa italiana e straniera di questi anni.
Una mappa che non può che essere incompleta. Eppure, detto di Ostuni, non si può tacere, né non vedere, il lavoro fatto in minimumfax da Nicola Lagioia («il miglior editing possibile penso che sia un'esercizio di maieutica. L'editor non deve pensare di essere il co-autore di alcunché, e il suo compito è quello di fare rilievi, muovere obiezioni, discorrere del libro con l'autore lasciando sempre a quest'ultimo l'ultima parola) e Christian Raimo. Michele Rossi in Rizzoli è quello che ha fiutato le potenzialità di Silvia Avallone, una scrittrice come Chiara Valerio sta ora cercando voci nuove per nottetempo. Ci sono i casi già molto noti di Stile Libero Einaudi, di Fazi, e nomi come Paola Gallo, Ena Marchi e Mattia Carratello (ora passato alla musica, però) che hanno inciso sui titoli che abbiamo letto e apprezzato in questi anni.
Giuseppe Strazzeri, passato da Mondadori a Longanesi a ridare vigore al catalogo e a indirizzarlo verso nuove frontiere, o giovani con le antenne dritte come Elisabetta Migliavada che sta riportando Garzanti ai fasti di un tempo (e ha scovato la Sanchez oggi prima nelle classifiche). Mario Desiati, instancabile frugatore di testi disturbanti in Fandango. Gabriele Dadati che con Laurana e i consigli di Giulio Mozzi, forse il più serio consulente editoriale che ci sia in giro in Italia, sta provando a lanciare una nuova piccola realtà. Davide Musso di Terre di Mezzo che ha scovato qualche autrice poi finita in sigle più blasonate, Giulio Milani di Transeuropa, scopritore di Fabio Genovesi e di Andrea Tarabbia, Francesco Colombo di Baldini Castoldi Dalai, senza dimenticare, per una volta, il ruolo delle riviste che ci sono e sono fucina di talenti. Svolgono un ruolo di "editor impersonale", o meglio incarnato nei loro direttori e redattori: e pensiamo a «Nuovi Argomenti» o alla recentissima «Piscine» appena uscita, condotta da Cristiano De Majo e Francesco Pacifico.
Fuori classifica restano cacciatori di talenti come lo fu Elvira Sellerio, capace di indovinare Gesualdo Bufalino a partire da delle didascalie su un album di foto o accettare la scommessa di Andrea Camilleri mandandolo per il mondo senza lo straccio di un glossario, come volle invece Livio Garzanti.
Infine: se è vero che l'editing è un lavoro sempre più complesso e raffinato, se è vero che gli autori sono sempre più bravi, anche quelli scarsi, nel l'arte dello storytelling, e che gli editori ormai cercano disperatamente bestseller e qualità, va riconosciuto che gli errori, gli strafalcioni e le valutazioni sbagliate sono sempre dietro l'angolo. Giusto per chiudere con un esempio celebre (non Vittorini-Lampedusa; e aveva ragione Vittorini...) e recentissimo. Freedom di Jonathan Franzen, l'ultimo titolo del più famoso autore americano di questi anni, è uscito in Inghilterra, non più di qualche mese fa, zeppo di errori marchiani. La versione stampata non aveva recepito l'ultimo passaggio di editing. Una sublime nemesi, dopotutto, per uno il cui libro più famoso si intitola Le correzioni.
Produzione, Stefano Salis per Il Sole 24 Ore in data 13 marzo 2011
Copertina: Il Sole 24 Ore

giovedì 15 settembre 2011

Gioacchino Lonobile, due racconti inediti


Gioacchino Lonobile

L’ultimo giorno d’estate



Aveva passato la maggior parte del giorno a letto. Decise: si sarebbe alzato alle tre, ma il conto alla rovescia non gli diede la forza necessaria. La stanchezza del solstizio se la sentiva addosso. La cefalea era prossima a venire.
All’ennesimo risveglio, ancora sul letto, allungò il braccio per prendere la tazzina. Sorbì le ultime gocce di caffè. A terra c’era un giornale d’inserzioni. Lo prese e iniziò a sfogliarlo, sapeva che lì non avrebbe trovato il rimedio al suo male.
Coppia di calzini ambidestri cerca pari requisiti per condividere dolci momenti. Possibilità di ospitare, massima pulizia. No mercenari, no singoli. Tel. 328XXXXXXX.
Affittasi pacco di sigarette nazionali, morbide, numero venti posti letto. Ottimo stato, prezzo trattabile. Tel.329XXXXXXX. Telefonare ore pasti.
Si alzò di scatto dal letto: aveva trovato quello che cercava.
Scambiasi fine estate inizio autunno con fine inverno inizio primavera. Max. serietà, astenersi amanti del freddo e perdi tempo. Tel. 091/XXXXXX.
Il telefono, presto il telefono, dov’era finito? Iniziò a frugare tra pennarelli, gomme, squadre, matite, colori, righelli, carboncino, fogli, schizzi. Trovato. Non c’era credito. Mise il capotto direttamente sul pigiama, ancora in ciabatte scese per le scale. Arrivò in strada, frugò in tasca, ne uscì una moneta e si diresse verso il telefono pubblico.
-          Pronto?
-          Sì?
-          Telefono per l’annuncio.
-          Dove l’ha visto?
-          Sul giornale. Sono interessato.
-          Bene, devo informarla che sono stati in molti a telefonare.
-          In molti? Possiamo incontraci anche subito.
-          Ha quello che chiedo?
-          Sì!
-          Le va bene tra un’ora?
-          Ottimo. Lei si chiama?
-          Orlowsky
L’autunno è Sophia, la conoscenza, il giusto governo. È la stagione che ha consapevolezza di sé. Si accresce nel tempo, vive nella certezza. Tedio domenicale.
La primavera è Selen, la giovinezza, troppo impegnata a vivere per avere coscienza della sua caducità. Ha tante speranze quante sono le sue incertezze. Il tempo è suo nemico. Solo una volta riuscì a batterlo, quando si addormentò in una caverna per essere contemplata.
C’è chi desidera una e ha l’altra e chi al contrario. Sophia e Selen se amano lo stesso uomo, lo fanno in stagioni diverse.
Si presentò all’appuntamento un'ora prima, come pure il signor Orlowsky del resto. Uno in pigiama a righe e paltò scuro, l’altro, un anziano signore, con una giacca vintage e una cravatta ormai fuori moda.
-          Sa… salve, O...Orlowsky?
-          Salve, giovanotto si sente bene?
-          Mai stato meglio.
-          Non si direbbe, la vedo pallido.
-          Lei capirà, il momento non è dei più facili per me.
-           Capisco a cosa sta rinunciando, ma per cosa? perché?
-          Amo le donne mature.
-          Non mi faccia ridere, è sicuro di quello che sta facendo?
-          Sì!
Fecero lo scambio.
Cercò Sophia, trovò le sue stesse mani oramai magrissime, le rughe del suo viso e i pochi capelli rimasti. Cadde per terra privo di sensi.
In un balzo fu da disteso dormiente a seduto desto, nel letto in preda a spasmi e a tachicardia. Si mise le mani sulla faccia, corse allo specchio. Tutto bene, non era successo niente. Un brutto sogno.
- Si svegli! si svegli! cos’è si è assopito? così all’improvviso? capisco l’età, ma a me non capitava.
A quelle parole riuscì ad aprire gli occhi, coperti da una sottile patina bianca. Vide un giovane in giacca e cravatta, che ridendo correva verso la vita. In pigiama e paltò rimase steso sul marciapiede, sapeva di avere, ormai, tutto il tempo che voleva.

 

Gioacchino Lonobile

Para dos


Alcuni interpreti di musica nazionalpopolare sono anche eccellenti musicisti, così allo stesso modo a Para Dos si vivono due vite.
Amavo a quei tempi trascrivere ciò che maggiormente colpiva la mia attenzione, usavo poi il materiale accumulato per la composizione di brevi racconti fantastici. Per trovare luoghi e persone che potessero ispirare tali racconti ero costretto a continui viaggi. Uno di questi mi diede la possibilità di visitare Para Dos: cittadina nota per alcune delle persone che vi abitavano. Molti di loro, non tutti, sono conosciuti dal resto dell’umanità per essere i protagonisti o le semplici comparse di quelle storie che al loro interno contengono due negazioni. Racconti in cui una tesi iniziale è negata da un’antitesi conclusiva e così al contrario. I paradossi.
Tra le strade di Para Dos s’incontrava, ad esempio, il prode Ercole ancora impegnato a dimenticare; il  barbiere che radeva tutti quelli che non lo facevano da soli; e altri alle prese con azioni non meno insensate, come attraversare un ponte per essere impiccati.
Come fosse possibile che le persone ripetessero da così tanto tempo le stesse azioni, interpretando se stessi, lo scoprii solo dopo qualche giorno di permanenza. Mi fu chiaro che in quel posto la realtà ancora una volta non era l’unica soluzione possibile, ma solo una delle tante immaginabili. A Para Dos vi erano, infatti, due linee con coordinate il tempo e lo spazio che a volte s’incontravano e altre rimanevano ben lontane. La testimonianza della propria esistenza, anche agl’occhi degli altri era la prima retta, l’altra più difficile da trovare, capace di trasformare personaggi in persone, parlava pressappoco così, anche in taverna:
- Se si potesse contare con esattezza il numero di stelle e dei sistemi che costituiscono l’universo, allora Dio non sarebbe più infinito, ma numerabile.
- A che servirebbe?
- Servirebbe a molto in verità,  soprattutto a noi, ma per ora rimane infinito e anche in espansione.
La tartaruga, rimase a pensare a ciò che aveva appena detto, poi scese dalla sedia, pagò quel che aveva bevuto e si affrettò a uscire. Quando si allontanò di circa dieci metri Achille la seguì.
Scoprii che molti visitatori ogni anno si recano a Para Dos per conoscere i suoi abitanti più famosi.


Produzione, Gioacchino Lonobile©
In copertina: De Chirico, Muse
All'interno: Picasso, Arlecchino e la sua compagna

mercoledì 14 settembre 2011

Daìta Martinez, inediti & { nuda } il video di Maria Korporal

 Daìta Martinez
in collaborazione con
Maria Korporal


presentano il video indeito

{ nuda }





{ nuda }

dilata
le acque
l’infanzia delle mani

         e       { nuda }

si apre
una foglia
di gabbiani.

: un soffio di pietra, le ali : 




(tre ore)

distillata contrazione
il tempo del supplizio
al richiamo contratto.

era firenze
il giorno ingollato allo spanno del tuo respiro
ode di stili attenti sulla logica del seno
rinvenuta indulgenza di luglio.

era il tramonto ed era l’alba
quel cenno osato sull’altare del borgo
passato di noi - amanti sorgenti.



(tre ore)

anamnesi variabile
la sosta convulsa
dal mento fuggiasca.

era firenze
l’ipotesi sequestrata alla notte del mio errare
ambulante stupore sull’innesto dei capelli
smarriti al mercato disfatto.
                                                           
era senno ed era insania
quel bacio riempito sul rilievo del piede
silloge di noi - concetti sedotti. 



(minuetto)

è sangue
la grondaia
esitazione della loggia
all’accadimento del cerchio.

                 - gli orti sono in fila dove l’aria è compiuta
                sospensione il violino
                accesso rivolto di palpebre inclinate -

è sangue
il breviario
dalle punte erbose
sul finire del vuoto.

                - rigetto in  tutto quello stendere lenzuola
                pause appassite
                calante il suono circonciso delle orecchie -

è sangue
la sacralità
dell’altare affilato
avanzo di labbra nuotate

                - inganno la pagina accomodata sottana
                frumento strappato
                abbassando hashish al limitare delle dita -

è sangue
la piega della sposa
avuta ancora
allo scadere della coda.

 : (minuetto) :




Video: Maria Korporal
Poesie: Daìta Martinez