giovedì 19 aprile 2012

Ernst Jünger Il tenente Sturm

Ernst Jünger 

Il tenente Sturm 

 

Ernst Jünger diede vita all'autobiografico personaggio del tenente Sturm negli anni difficili che seguirono il secondo conflitto mondiale. Persa la guerra, incerto se ritornare agli studi universitari - lui che era stato dottorando in zoologia - lo scrittore riprende il copioso materiale dei diari e lo rielabora in forma compiuta. Fin dall'esordio del romanzo, qui trascritto nella traduzione verso l'italiano, si avverte la lucida strategia del narratore nel fornire al lettore una piena e netta descrizione della vita militare. Nelle contrapposizioni e nei paradigmi oppositivi, numerosi e spesso velati nel fluire agevole e consapevole del testo, emerge la "voce" dell'altro che non produce - come dovrebbe - un effetto di straniamento ma che, invece, stabilisce un'equazione tra "io" e "tu".



Il tenente Sturm



I comandanti dei plotoni della terza compagnia avevano l'abitudine di trascorrere assieme le ore che precedevano il tramonto. In quel momento del giorno i nervi erano freschi, tutti i dettagli riacquistavano il loro valore, e si continuava instancabilmente a ribadirli in infiniti colloqui. Se ci si incontrava la mattina, dopo notti di pioggia, di fuoco e di mille tensioni diverse, allora tutti i pensieri erano sconnessi e taglienti, si passava l'uno accanto all'altro col volto accigliato, oppure il malumore esplodeva in manifestazioni che, in tempo di pace, avrebbero offerto materia sufficiente a sedute di corte marziale di intere settimane.

Al risveglio di un sonno di quattro ore, invece, ci si sentiva come nuovi. Ci si lavava nell'elmetto di acciaio, si spazzolavano i denti e si accendeva la prima sigaretta. Si leggeva la posta che, insieme ai viveri, ci portavano gli addetti alla distribuzione del rancio e si prendeva la scodella che veniva tenuta in caldo in una cesta piena di paglia. Poi si caricava la pistola e si abbandonava il rifugio per andare a zonzo lungo le trincee. Era quella l'ora in cui, di solito, si incontrava il tenente Sturm, comandante del plotone di mezzo.

Quell'ora assomigliava al momento della chiusura della borsa, quando a tutto ciò che si riteneva avesse importanza veniva assegnato il suo valore. Il corpo della compagnia assomigliava a quello di un animale appostato nella sabbia cui, nonostante la calma apparente, vibrano i muscoli di tensione. L'avanzata, come un balzo, aveva messo in moto tutte le forze. Solo nella posizione di difesa gli uomini erano ancora uno sotto l'altro e vivevano i rapporti interpersonali in tutte le loro sfumature. Legati a fili sottili costantemente minacciati, invece, si stava sospesi, tutti uomini alla stessa stregua, isolati come un villaggio invernale in una valle alpina. Cresceva così l'interesse per il singolo: l'impulso psicologico che spinge ogni uomo alla conoscenza trovava soddisfazione sempre negli stessi fenomeni e veniva con ciò rafforzato.

Questi uomini, la cui vita in comune, da parte di chi sta nelle retrovie, viene liquidata con poche parole, come "cameratismo" o "fratellanza in armi", non avevano lasciato a casa niente di ciò che li appagava in tempi di pace. Erano quelli di sempre, solo in un altro paese e in un'altra forma dell'essere. Avevano conservato anche quel senso particolare con il quale si coglie il volto di un altro, il suo sorriso e, di notte, persino il suono della sua voce, e che stabilisce un'equazione tra "io" e "tu".




* Fotografia scannerizzata al computer.

** Testo: esordio del romanzo Il tenente Sturm di Ernst Jünger, edito dalla Casa editrice Guanda nella Collana Quaderni della fenice con la traduzione di Alessandra Iadicicco.

lunedì 16 aprile 2012

Jack London e John Steinbeck a confronto


Jack London e John Steinbeck a confronto.

Al di là delle piccole differenze, tra questi due esordi è evidente quanto il testo di Steinbeck – edito nel 1936 – debba a quello di London – pubblicato “a solo” nel 1905 e poi in antologico nel 1906. L’ambientazione è estremamente simile: la natura con il corso d’acqua e gli animali costituiscono il perfetto genius loci per la narrazione di due storie mozzafiato.


Jack London, Il canyon tutto d’oro

Era il cuore verde del canyon, il punto in cui le pareti si staccavano bruscamente dalla rigidità della pianura e addolcivano la durezza delle loro linee formando un angolino riparato e riempiendolo sino a farlo traboccare di dolcezza, di morbidezza e di rotondità di forme. Qui ogni cosa riposava. Persino il piccolo torrente interrompeva la sua corsa turbolenta abbastanza a lungo da formare una tranquilla pozza d’acqua. Immerso nell’acqua fino alle ginocchia, un cervo fulvo dalle corna ramificate sonnecchiava, la testa ciondoloni, gli occhi semichiusi.

John Steinbeck, Uomini e topi

Poche miglia a sud di Soledad, il Salinas capita sotto le falde dei colli, dove scorre verde e profondo. L’acqua è anche tiepida, perché è sgusciata sfavillando sulle sabbie gialle nel sole, prima di giungere alla stretta pozza. Su una riva del fiume i pendii dorati del contrafforte salgono dolcemente ai monti Gabilan forti e rocciosi; ma a valle l’acqua è orlata di piante: salici verdi e novelli ad ogni primavera, ingombre le forche dei rami bassi dal tritume della piena invernale, e sicomori dalle candide e screziate braccia penzolanti e dalle fronde arcuate sulla corrente. Sulla riva sabbiosa sotto gli alberi giacciono le foglie dissecate in strato così alto, che la lucertola fa un grande trepestio correndovi in mezzo. I conigli escono dalla macchia a sedersi sulla sabbia nella sera, e le radure acquitrinose sono disseminate delle tracce notturne dei tassi, delle lunghe zampate dei cani dei ranches e delle orme a cuneo dei daini che vengono a bere all’ombra.

*  Copertina di Un paese lontano scaricata free copy da internet.

**    Testi: Il canyon tutto d’oro è tratto dall’antologico di Jack London, Un paese lontano, traduzione di Sandro Roffeni, Sugarco edizioni Tasco 118, Milano, 1987, p. 59.
Uomini e topi, John Steinbeck, traduzione di Cesare Pavese, Bompiani Tascabili 258, Milano, 2002, p. 5.