venerdì 18 maggio 2012

Jacques Prévert Immenso e rosso (Il Prévert di Prévert)


Jacques Prévert
Immenso e rosso
(Il Prévert di Prévert)


Immenso e rosso
(da Parole)

Immenso e rosso
Sopra il Gran Palais
Il sole d’inverno appare
E scompare
Come lui il mio cuore sparirà
E tutto il mio sangue se ne andrà
Se ne andrà in cerca di te
Mio amore
Mia beltà
E ti ritroverà
Là dove sei tu.





La bella vita
(da Spettacolo)

Chiusi dentro i serragli
Ci sono gli animali
Che passano la vita
Dietro un'inferriata
E noi siamo i fratelli
Di quel povero bestiame

Non siamo da compiangere
Siamo da biasimare
Ci siam lasciati prendere
Cosa avevamo fatto?
Figli dei corridoi
Delle correnti d'aria
Il mondo ci ha sbattuto fuori
La vita ci ha buttati all'aria

La miseria è nostra madre
E nostro padre è il bar
Venuti su in cassetti
Che ci han fatto da letti
La gente ci ha piantati
Nudi sul selciato

Fin dalla nostra infanzia
Stivati nelle carceri
Dormiamo tra le sbarre
E lì giriamo in tondo
Senza sentir canzoni
Senza vedere il mondo

Non siamo da compiangere
Siamo da biasimare
Ci siam lasciati prendere
Cosa avevamo fatto?
Figli dei corridoi
Delle correnti d'aria
Il mondo ci ha buttato fuori
La vita ci ha buttati all'aria.
                                           

Confidenze d’un condannato
(da La pioggia e il bel tempo)

Perché m’hanno tagliato la testa?
Posso anche dirlo ora, col tempo tutto diventa meno grave.
Una cosa semplice, veramente.
Ero andato a passare la serata da amici, ma c'era molta gente e m’annoiavo. In quel periodo ero un po' triste e avevo di frequente mal di testa.
Quell'atmosfera di festa mi irritava e mi stancava. M’accomiatai. La padrona di casa m’avvertì che la luce delle scale non funzionava e che per di più non funzionava nemmeno l'ascensore.
- Posso farle un po' di luce, se vuole, attenda un attimo.
- Luce, lei vuole scherzare, le dissi, sono come un gatto, io, di notte vedo chiaro.
- Avete sentito, disse rivolgendosi agli amici, è come un gatto, splendido, vede chiaro di notte.
Perché mai avevo parlato così, un modo di dire come un altro, una frase gentile che voleva anche essere arguta, disinvolta.
Incominciai a scendere faticosamente i primi gradini delle scale e le sbarrette d’ottone del tappeto facevano uno strano rumore sotto i miei passi che scivolavano.
Mi trovavo in un buio così fitto che dapprima ebbi voglia di risalire e di chiamar gente.
Dapprima mi frugai nelle tasche, ma inutilmente, niente fiammiferi.
Mi sedetti e mi misi a pensare, non so più su che cosa, forse aspettavo che qualcuno mi venisse in aiuto, senza beninteso sapere o indovinare che avevo bisogno d'aiuto.
Stavo rialzandomi a fatica quando, non trovando il corrimano, cozzai violentemente contro il muro e incominciai a sanguinare dal naso.
Mentre mi rovistavo le tasche in cerca d’un fazzoletto, mi capitò finalmente in mano una scatola di fiammiferi con dentro, disgraziatamente, un fiammifero solo.
Lo accesi con infinite precauzioni e, cercando di nuovo il corrimano, scorsi dapprima in uno specchio, sul pianerottolo del piano dove m’ero fermato, il mio viso tutto coperto di sangue.
E poi di nuovo l’oscurità.
Io ero lì, sempre più disarmato.
All'improvviso, allungando a caso la mano a tentoni, toccai un serpente che si mise a scivolarmi fra le dita.
Bella serata. 
Il serpente era semplicemente il corrimano che per fortuna avevo ritrovato, mi strisciava piano piano sotto la mano che aveva appena finito d’asciugare il viso così stupidamente insanguinato.
Allora mi misi a ridere: ero salvo.
Mentre scendevo allegramente ma prudentemente fui investito di colpo da qualcuno o da qualcosa che, fosse questo o fosse quella, scendeva a sua volta insieme con una piccola fiamma, certamente quella d’un accendino.
Rialzandomi ancora una volta, camminai di nuovo nel buio, con le due mani protese.
Queste due mani incontrarono il muro ed il muro cedette...
Non era il muro ma una porta socchiusa.
All'improvviso musica e luce dai piani superiori.
Senza dubbio qualche invitato che a sua volta scendeva accompagnato dalla padrona di casa con un candeliere in mano.
Davvero, non sapevo dove mettermi e non per modo di dire; così, approfittando della porta per nascondermi, andai avanti, quando a un tratto, nella luce che diventava più viva, scoprii un corpo disteso ai miei piedi.
Era il corpo di Antonietta.
Stava lì per terra, sola, con gli occhi aperti così pure la gola.
Antonietta con la quale ero vissuto tanto a lungo e che il mese prima m’aveva abbandonato.
Antonietta che avevo supplicato, che avevo persino minacciato.
Non riuscii a trattenere un grido. 
Di terrore, quel grido, e anche di stupore.
La padrona di casa e gl’invitati si precipitano, qualche porta si schiuse, presto altre luci s’unirono alla loro, rette da altri inquilini molto succintamente vestiti, terrorizzati e lividi.
Era già passato molto tempo da quando m’ero accomiatato e io stavo lì, muto e coperto di sangue, stravolto come nelle storie meno belle.
Accanto al corpo della mia amica perduta e - in quale stato - ritrovata, sul pavimento una lama brillava come una fetta di luna in un cielo stellato.
Un lume vacillava in ogni mano tremante.
Vedete già il processo: il ricorso respinto, l’ultimo bicchiere, il crocefisso da baciare e di nuovo come una luna il bagliore della lama.
Che volete, mettetevi al mio posto. Cosa potevo dire, cosa potevo raccontare? Avevo passato un quarto d'ora troppo brutto fra le tenebre sinistre di quella scala buia, e avevo avuto la folle imprudenza d’affermare: io vedo chiaro di notte, sono come i gatti, io.
Chi mi avrebbe creduto allora e senza ridermi in faccia?
Sì, sono sicuro, m’avrebbero riso in faccia per molti, molti anni, troppi per i miei gusti.
Ho preferito star zitto piuttosto che essere deriso.

* Testo: poesie tratte dall'antologico della Feltrinelli, U.E. n. 553, 1970, con la traduzione di Ivos Margoni e Franca Madonia.
** Fotografia:  copertina della edizione Feltrinelli freee copy da internet.

Nessun commento:

Posta un commento