Jacques Prévert
Immenso e rosso
(Il Prévert di Prévert)
Immenso
e rosso
(da Parole)
Immenso e rosso
Sopra il Gran Palais
Il sole d’inverno appare
E scompare
Come lui il mio cuore sparirà
E tutto il mio sangue se ne andrà
Se ne andrà in cerca di te
Mio amore
Mia beltà
E ti ritroverà
Là dove sei tu.
La
bella vita
(da Spettacolo)
Chiusi dentro i serragli
Ci sono gli animali
Che passano la vita
Dietro un'inferriata
E noi siamo i fratelli
Di quel povero bestiame
Non siamo da compiangere
Siamo da biasimare
Ci siam lasciati prendere
Cosa avevamo fatto?
Figli dei corridoi
Delle correnti d'aria
Il mondo ci ha sbattuto fuori
La vita ci ha buttati all'aria
La miseria è nostra madre
E nostro padre è il bar
Venuti su in cassetti
Che ci han fatto da letti
La gente ci ha piantati
Nudi sul selciato
Fin dalla nostra infanzia
Stivati nelle carceri
Dormiamo tra le sbarre
E lì giriamo in tondo
Senza sentir canzoni
Senza vedere il mondo
Non siamo da compiangere
Siamo da biasimare
Ci siam lasciati prendere
Cosa avevamo fatto?
Figli dei corridoi
Delle correnti d'aria
Il mondo ci ha buttato fuori
La vita ci ha buttati all'aria.
Chiusi dentro i serragli
Ci sono gli animali
Che passano la vita
Dietro un'inferriata
E noi siamo i fratelli
Di quel povero bestiame
Non siamo da compiangere
Siamo da biasimare
Ci siam lasciati prendere
Cosa avevamo fatto?
Figli dei corridoi
Delle correnti d'aria
Il mondo ci ha sbattuto fuori
La vita ci ha buttati all'aria
La miseria è nostra madre
E nostro padre è il bar
Venuti su in cassetti
Che ci han fatto da letti
La gente ci ha piantati
Nudi sul selciato
Fin dalla nostra infanzia
Stivati nelle carceri
Dormiamo tra le sbarre
E lì giriamo in tondo
Senza sentir canzoni
Senza vedere il mondo
Non siamo da compiangere
Siamo da biasimare
Ci siam lasciati prendere
Cosa avevamo fatto?
Figli dei corridoi
Delle correnti d'aria
Il mondo ci ha buttato fuori
La vita ci ha buttati all'aria.
Confidenze d’un condannato
(da La
pioggia e il bel tempo)
Perché m’hanno tagliato la testa?
Posso anche dirlo ora, col tempo tutto diventa
meno grave.
Una cosa semplice, veramente.
Ero andato a passare la serata da amici,
ma c'era molta gente e m’annoiavo. In quel periodo ero un po' triste e avevo di
frequente mal di testa.
Quell'atmosfera di festa mi irritava e
mi stancava. M’accomiatai. La padrona di casa m’avvertì che la luce delle scale
non funzionava e che per di più non funzionava nemmeno l'ascensore.
- Posso farle un po' di luce, se vuole,
attenda un attimo.
- Luce, lei vuole scherzare, le dissi,
sono come un gatto, io, di notte vedo chiaro.
- Avete sentito, disse rivolgendosi agli
amici, è come un gatto, splendido, vede chiaro di notte.
Perché mai avevo parlato così, un modo
di dire come un altro, una frase gentile che voleva anche essere arguta,
disinvolta.
Incominciai a scendere faticosamente i
primi gradini delle scale e le sbarrette d’ottone del tappeto facevano uno
strano rumore sotto i miei passi che scivolavano.
Mi trovavo in un buio così fitto che
dapprima ebbi voglia di risalire e di chiamar gente.
Dapprima mi frugai nelle tasche, ma inutilmente, niente fiammiferi.
Dapprima mi frugai nelle tasche, ma inutilmente, niente fiammiferi.
Mi sedetti e mi misi a pensare, non so
più su che cosa, forse aspettavo che qualcuno mi venisse in aiuto, senza
beninteso sapere o indovinare che avevo bisogno d'aiuto.
Stavo rialzandomi a fatica quando, non
trovando il corrimano, cozzai violentemente contro il muro e incominciai a
sanguinare dal naso.
Mentre mi rovistavo le tasche in cerca d’un
fazzoletto, mi capitò finalmente in mano una scatola di fiammiferi con dentro, disgraziatamente,
un fiammifero solo.
Lo accesi con infinite precauzioni e,
cercando di nuovo il corrimano, scorsi dapprima in uno specchio, sul
pianerottolo del piano dove m’ero fermato, il mio viso tutto coperto di sangue.
E poi di nuovo l’oscurità.
E poi di nuovo l’oscurità.
Io ero lì, sempre più disarmato.
All'improvviso, allungando a caso la
mano a tentoni, toccai un serpente che si mise a scivolarmi fra le dita.
Bella serata.
Il serpente era semplicemente il
corrimano che per fortuna avevo ritrovato, mi strisciava piano piano sotto la
mano che aveva appena finito d’asciugare il viso così stupidamente
insanguinato.
Allora mi misi a ridere: ero salvo.
Mentre scendevo allegramente ma prudentemente
fui investito di colpo da qualcuno o da qualcosa che, fosse questo o fosse
quella, scendeva a sua volta insieme con una piccola fiamma, certamente quella
d’un accendino.
Rialzandomi ancora una volta, camminai
di nuovo nel buio, con le due mani protese.
Queste due mani incontrarono il muro ed il muro cedette...
Queste due mani incontrarono il muro ed il muro cedette...
Non era il muro ma una porta socchiusa.
All'improvviso musica e luce dai piani
superiori.
Senza dubbio qualche invitato che a sua
volta scendeva accompagnato dalla padrona di casa con un candeliere in mano.
Davvero, non sapevo dove mettermi e non per
modo di dire; così, approfittando della porta per nascondermi, andai avanti,
quando a un tratto, nella luce che diventava più viva, scoprii un corpo disteso
ai miei piedi.
Era il corpo di Antonietta.
Stava lì per terra, sola, con gli occhi
aperti così pure la gola.
Antonietta con la quale ero vissuto
tanto a lungo e che il mese prima m’aveva abbandonato.
Antonietta che avevo supplicato, che
avevo persino minacciato.
Non riuscii a trattenere un grido.
Di terrore, quel grido, e anche di stupore.
La padrona di casa e gl’invitati si
precipitano, qualche porta si schiuse, presto altre luci s’unirono alla loro, rette
da altri inquilini molto succintamente vestiti, terrorizzati e lividi.
Era già passato molto tempo da quando m’ero
accomiatato e io stavo lì, muto e coperto di sangue, stravolto come nelle storie
meno belle.
Accanto al corpo della mia amica perduta
e - in quale stato - ritrovata, sul pavimento una lama brillava come una fetta
di luna in un cielo stellato.
Un lume vacillava in ogni mano tremante.
Vedete già il processo: il ricorso respinto,
l’ultimo bicchiere, il crocefisso da baciare e di nuovo come una luna il
bagliore della lama.
Che volete, mettetevi al mio posto. Cosa
potevo dire, cosa potevo raccontare? Avevo passato un quarto d'ora troppo
brutto fra le tenebre sinistre di quella scala buia, e avevo avuto la folle
imprudenza d’affermare: io vedo chiaro di notte, sono come i gatti, io.
Chi mi avrebbe creduto allora e senza
ridermi in faccia?
Sì, sono sicuro, m’avrebbero riso in
faccia per molti, molti anni, troppi per i miei gusti.
Ho preferito star zitto piuttosto che essere deriso.
* Testo: poesie tratte dall'antologico della Feltrinelli, U.E. n. 553, 1970, con la traduzione di Ivos Margoni e Franca Madonia.
** Fotografia: copertina della edizione Feltrinelli freee copy da internet.
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