domenica 20 maggio 2012

Emily Dickinson, Poesie


Emily Dickinson
Poesie

(31)
Fa’ ch’io per te sia l’estate
Quando saran fuggiti i giorni estivi!
La tua musica quando il fanello
Tacerà e il pettirosso!

A fiorire per te saprò sfuggire alla tomba
Riseminando il mio splendore!
E tu coglimi, anemone,
Tuo fiore per l’eterno! (c. 1858)

(135)
L’acqua è insegnata dalla sete.
La terra, dagli oceani traversati.
La gioia, dal dolore.
La pace, dai racconti di battaglia.
L’amore, da un’impronta di dolore.
Gli uccelli, dalla neve. (c. 1859)

(189)
È poca cosa il pianto,
Sono brevi i sospiri:
Pure, per fatti di questa misura
Uomini e donne muoiono! (c. 1860)

(241)
Mi piace un volto d’agonia
Perché so ch’è sincero.
L’uomo non può contraffare lo spasimo
Né simulare il rantolo.

Gli occhi si fanno vitrei ed è la morte.
Impossibile fingere
Le perle di sudore sulla fronte
Infilate dalla sommessa angoscia. (c. 1861)

(367)
Sempre, come una musica,
Insiste la memoria.
Tamburi dagli spalti immateriali,
Flauti del Paradiso!

Echi di schiere battezzate,
Cadenze troppo grandi,
Che soltanto si addicono agli eletti
Alla destra di Dio. (c. 1862)

(516)
La bellezza non ha causa:
Esiste.
Inseguila e sparisce.
Non inseguirla e rimane.

Sai afferrare le crespe
Del prato, quando il vento
Vi avvolge le sue dita?
Iddio provvederà
Perché non ti riesca. (c. 1862)

(618)
Rimane oziosa l’anima
Che ha ricevuto un colpo micidiale:
Lo spazio della vita le si tende davanti
Senza nulla da fare.

E vi chiede lavoro –
Fosse soltanto di appuntare spilli
O di fare il più misero rammendo da bambini –
Per aiutare le sue mani vuote. (c. 1862)

(713)
Se meritassi in me stessa la fama,
Ogni altro applauso sarebbe
Superfluo, come incenso
Senza necessità.

Se non la meritassi, anche se fosse
Altissimo per gli altri il mio nome,
Sarebbe un pregio spregevole,
Un futile diadema. (c. 1863)

(726)
Abbiamo prima sete – è l’atto di natura –
E dopo, quando stiamo per morire,
Chiediamo supplichevoli un po’ d’acqua
A dita che ci passano vicine.

Ed è figura di un bisogno più alto
La cui risposta adeguata
Sono le grandi acque occidentali
Chiamate Eternità. (c. 1863)

(802)
Il tempo sembra così vasto
Che, non vi fosse l’eterno,
Temo che questa sfera
Illuderebbe il mio finito essere,
Escludendo Colui che i rudimenti
Dello spazio ci dà per prepararci
All’ampiezza stupenda
Dei suoi diametri. (c. 1863)

(875)
Da un’asse all’altro avanzavo
Così lenta, prudente.
Sentivo le stelle sul capo,
E sotto i piedi il mare.

Questo solo sapevo: che un altro
Passo sarebbe stato irrevocabile.
Ed avevo quell’andatura incerta
Che chiamano esperienza. (c. 1864)

(897)
Fortunato il sepolcro,
Che conquista ogni preda,
Sicuro del successo, anche se in ultimo:
Unico pretendente non deluso. (c. 1864)

(962)
Morirono a metà dell’estate,
Un tempo pieno e perfetto:
Era l’estate chiusa su se stessa
Nel suo colmo splendore.

Quando l’ultime spighe maturavano
Per essere falciate,
Essi, attraverso la nebbia del sepolcro,
Approdarono nella perfezione. (c. 1864)

(1008)
Come stanno silenti le campane
Nelle torri, finché, gonfie di cielo,
Balzino con i piedi argentei
In melodia frenetica! (c. 1865)

(1042)
La primavera ritorna sul mondo.
Guardo l’aprile, che non ha colori
Per me, finché tu venga,
Come prima del giungere dell’ape
Restano inerti i fiori,
Destati all’esistenza da un ronzio. (1865)

(1069)
Il Paradiso dipende da noi.
Chiunque voglia
Vive nell’Eden, nonostante Adamo
E la cacciata. (c. 1866)

(1404)
Marzo: mese d’attesa.
Le cose che ignoriamo
E le persone del nostro presagio
Sono in cammino.
Ci sforziamo di fingere fermezza
Come si deve, ma la gioia solenne
Ci tradisce, così come tradisce
Il giovanotto appena fidanzato. (c. 1877)

(1441)
Questi giorni febbrili condurli alla foresta
Dove le fresche acque strisciano intorno al muschio
E l’ombra sola devasta il silenzio:
Pare talvolta che questo sia tutto. (c. 1878)


* Testo: Emily Dickinson, Poesie, Fabbri editore, I grandi classici della poesia, 1997, traduzione Margherita Guidacci.
** Fotografia: copertina dell’edizione fabbri free copy da internet.



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