Emily
Dickinson
Poesie
(31)
Fa’ ch’io per te sia l’estate
Quando saran fuggiti i
giorni estivi!
La tua musica quando il
fanello
Tacerà e il pettirosso!
A fiorire per te saprò
sfuggire alla tomba
Riseminando il mio
splendore!
E tu coglimi, anemone,
Tuo fiore per l’eterno!
(c. 1858)
(135)
L’acqua è insegnata
dalla sete.
La terra, dagli oceani
traversati.
La gioia, dal dolore.
La pace, dai racconti
di battaglia.
L’amore, da un’impronta
di dolore.
Gli uccelli, dalla
neve. (c. 1859)
(189)
È poca cosa il pianto,
Sono brevi i sospiri:
Pure, per fatti di
questa misura
Uomini e donne muoiono!
(c. 1860)
(241)
Mi piace un volto d’agonia
Perché so ch’è sincero.
L’uomo non può
contraffare lo spasimo
Né simulare il rantolo.
Gli occhi si fanno
vitrei ed è la morte.
Impossibile fingere
Le perle di sudore
sulla fronte
Infilate dalla sommessa
angoscia. (c. 1861)
(367)
Sempre, come una
musica,
Insiste la memoria.
Tamburi dagli spalti
immateriali,
Flauti del Paradiso!
Echi di schiere
battezzate,
Cadenze troppo grandi,
Che soltanto si addicono
agli eletti
Alla destra di Dio. (c.
1862)
(516)
La bellezza non ha
causa:
Esiste.
Inseguila e sparisce.
Non inseguirla e
rimane.
Sai afferrare le crespe
Del prato, quando il
vento
Vi avvolge le sue dita?
Iddio provvederà
Perché non ti riesca.
(c. 1862)
(618)
Rimane oziosa l’anima
Che ha ricevuto un
colpo micidiale:
Lo spazio della vita le
si tende davanti
Senza nulla da fare.
E vi chiede lavoro –
Fosse soltanto di
appuntare spilli
O di fare il più misero
rammendo da bambini –
Per aiutare le sue mani
vuote. (c. 1862)
(713)
Se meritassi in me
stessa la fama,
Ogni altro applauso
sarebbe
Superfluo, come incenso
Senza necessità.
Se non la meritassi,
anche se fosse
Altissimo per gli altri
il mio nome,
Sarebbe un pregio
spregevole,
Un futile diadema. (c.
1863)
(726)
Abbiamo prima sete – è l’atto
di natura –
E dopo, quando stiamo
per morire,
Chiediamo supplichevoli
un po’ d’acqua
A dita che ci passano
vicine.
Ed è figura di un
bisogno più alto
La cui risposta
adeguata
Sono le grandi acque
occidentali
Chiamate Eternità. (c.
1863)
(802)
Il tempo sembra così
vasto
Che, non vi fosse l’eterno,
Temo che questa sfera
Illuderebbe il mio
finito essere,
Escludendo Colui che i
rudimenti
Dello spazio ci dà per
prepararci
All’ampiezza stupenda
Dei suoi diametri. (c.
1863)
(875)
Da un’asse all’altro
avanzavo
Così lenta, prudente.
Sentivo le stelle sul
capo,
E sotto i piedi il
mare.
Questo solo sapevo: che
un altro
Passo sarebbe stato
irrevocabile.
Ed avevo quell’andatura
incerta
Che chiamano
esperienza. (c. 1864)
(897)
Fortunato il sepolcro,
Che conquista ogni
preda,
Sicuro del successo,
anche se in ultimo:
Unico pretendente non
deluso. (c. 1864)
(962)
Morirono a metà dell’estate,
Un tempo pieno e
perfetto:
Era l’estate chiusa su
se stessa
Nel suo colmo
splendore.
Quando l’ultime spighe
maturavano
Per essere falciate,
Essi, attraverso la
nebbia del sepolcro,
Approdarono nella
perfezione. (c. 1864)
(1008)
Come stanno silenti le
campane
Nelle torri, finché,
gonfie di cielo,
Balzino con i piedi
argentei
In melodia frenetica!
(c. 1865)
(1042)
La primavera ritorna
sul mondo.
Guardo l’aprile, che
non ha colori
Per me, finché tu
venga,
Come prima del giungere
dell’ape
Restano inerti i fiori,
Destati all’esistenza
da un ronzio. (1865)
(1069)
Il Paradiso dipende da
noi.
Chiunque voglia
Vive nell’Eden,
nonostante Adamo
E la cacciata. (c.
1866)
(1404)
Marzo: mese d’attesa.
Le cose che ignoriamo
E le persone del nostro
presagio
Sono in cammino.
Ci sforziamo di fingere
fermezza
Come si deve, ma la
gioia solenne
Ci tradisce, così come
tradisce
Il giovanotto appena
fidanzato. (c. 1877)
(1441)
Questi giorni febbrili
condurli alla foresta
Dove le fresche acque
strisciano intorno al muschio
E l’ombra sola devasta
il silenzio:
Pare talvolta che
questo sia tutto. (c. 1878)
* Testo: Emily
Dickinson, Poesie, Fabbri editore, I grandi classici della poesia, 1997, traduzione
Margherita Guidacci.
** Fotografia:
copertina dell’edizione fabbri free copy da internet.
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