domenica 3 giugno 2012

Friedrich Dürrenmatt, due racconti


Friedrich Dürrenmatt
Natale

Era Natale. Attraversavo la vasta pianura. La neve era come vetro. Faceva freddo.  L’aria era morta. Non un movimento, non un suono. L’orizzonte era circolare. Nero il cielo. Morte le stelle. Sepolta ieri la luna. Non sorto il sole. Gridai. Non mi udii. Gridai ancora. Vidi un corpo disteso sulla neve. Era Gesù Bambino. Bianche e rigide le membra. L’aureola un giallo disco gelato. Presi il bambino in mano. Gli mossi su e giù le braccia. Gli sollevai le palpebre. Non aveva occhi. Io avevo fame. Mangiai l’aureola. Sapeva di pane stantio. Gli staccai la testa con un morso. Marzapane stantio. Proseguii. (1942)

La salsiccia

Un tale ammazzò la moglie e ne fece salsicce. Il fattaccio si riseppe. Il tale fu arrestato. Fu rinvenuta un’ultima salsiccia. L’indignazione fu grande. Il giudice supremo del paese avocò il caso a sé.
L’aula del tribunale è luminosa. Il sole irrompe dalle finestre. Le pareti sono specchi abbaglianti. La gente è una massa in ebollizione. L’aula ne è piena. Stanno seduti sui davanzali delle finestre. Sono appesi ai lampadari. Sulla destra luccica la testa pelata del pubblico accusatore. È rossa. Il difensore è a sinistra. Porta occhiali dalle lenti finte. L’accusato siede tra due poliziotti. Ha grandi mani. Le dita orlate di blu. Su tutti troneggia il pubblico supremo. La sua toga è nera. La barba una bandiera bianca. Seri gli occhi. Chiara la fronte. Irte le sopracciglia. La sua espressione è umanità. Davanti a lui, la salsiccia. Poggiata su un piatto. Sopra il giudice troneggia la giustizia. Ha gli occhi bendati. Nella mano destra regge una spada. Nella sinistra una bilancia. È di pietra. Il giudice supremo alza la mano. La gente tace. I movimenti si bloccano. La sala si placa. Il tempo incombe. Il pubblico accusatore si alza. Il suo ventre è un mappamondo. Le labbra una ghigliottina. La lingua una mannaia. Le parole martellano nell’aula. L’accusato trasale. Il giudice ascolta. Fra le sopracciglia si staglia una rapida ruga. I suoi occhi sono due soli. I loro raggi colpiscono l’accusato. Questi si accascia. L ginocchia gli tremano. Le mani pregano. Gli pende la lingua. Le sue orecchie sporgono. La salsiccia davanti al giudice supremo è rossa. Sta quieta. Gonfia. Le estremità sono tonde. Lo spago in cima è giallo. Riposa. Il giudice supremo guarda giù, sull’infinito degli uomini. Che è piccolo. Come cuoio la pelle. La bocca un becco. Le labbra sangue disseccato. Gli occhi capocchie di spillo. La fronte piatta. Le dita grasse. La salsiccia ha un odore gradevole. Si fa più vicina. La pelle è ruvida. La salsiccia è morbida. È dura. L’unghia lascia un’impronta a forma di mezzaluna. La salsiccia è calda. La sua forma è soffice. Il pubblico accusatore tace. L’accusato alza il capo. Il suo sguardo è un bimbo torturato. Il giudice supremo alza la mano. Il difensore balza in piedi. Gli occhiali danzano. Parole saltellano nella sala. La salsiccia sprizza. Il difensore tace. Il giudice supremo guarda l’accusato. Che sta giù in basso. È una pulce. Il giudice supremo scuote il capo. Il suo sguardo è disprezzo. Il giudice supremo comincia a parlare. Le sue parole sono spade della giustizia. Cadono come montagne sull’accusato. Le sue frasi sono lacci. Sferzano. Strangolano. Uccidono. La carne è tenera. È dolce. Si disfa come burro. La pelle è un po’ più tenace. Le pareti rintronano. Il soffitto minaccia. Le finestre stridono. Le porte si scuotono nei cardini. Le mura protestano. La città impallidisce. I boschi si disseccano. Le acque evaporano. La terra vibra. Il sole muore. Il cielo crolla. L’accusato è condannato. La morte spalanca le fauci. Il coltellino si adagia sul tavolo. Le dita sono appiccicose. Scorrono sulla toga nera. Il giudice supremo tace. L’aula è morta. L’aria pesante. I polmoni pieni di piombo. La gente trema. L’accusato è incollato alla sedia. È condannato. Può fare un’ultima richiesta. Sta rannicchiato. La richiesta gli sguscia dal cervello. È piccola. Cresce. Si fa gigantesca. Si addensa. Si plasma. Disserra le labbra. Irrompe nell’aula giudiziaria. Risuona. Il perverso maniaco omicida vorrebbe mangiare quello che avanza della povera moglie: la salsiccia. L’orrore è un grido. Il giudice supremo alza la mano. La gente ammutolisce. Il giudice supremo è un dio. La sua voce è la tromba del giudizio. La sua voce è la tromba del giudizio. Acconsente alla richiesta. Il condannato può mangiare la salsiccia. Il giudice supremo guarda il piatto. La salsiccia è sparita. Tace. Il silenzio è cupo. La gente guarda il giudice supremo. Gli occhi del condannato sono spalancati. Dentro, c’è una domanda. La domanda è terribile. Fluisce nella sala. Cala sul pavimento. S’affigge alle pareti. Si rannicchia alta sul soffitto. S’impadronisce d’ognuno. La sala si dilata. La sala diventa un immenso punto interrogativo. (1943)

* Testo: Friedrich Dürrenmatt, Racconti, traduzione di Umberto Gandini, Feltrinelli U.E. 1384, 1996, I edizione
** Fotografia: Copertina del libro Friedrich Dürrenmatt, Racconti, Feltrinelli U.E. 1384, 1996, I edizione, scaricata free copy da internet

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