Mario Girolamo Gullace
L'incredibile mattina che la reggia volò via.
racconto inedito
Dal balcone del secondo piano gerani, azalee e bocche di leone, erano invasati e appesi a riempire tutto il perimetro di ferro verniciato di bianco. Era un secondo piano all'angolo di via Mensa con piazza Annunziata.
Le prime luci del giorno facevano ressa tra le fessure delle persiane per entrare nella stanza, dove Nino, steso nel suo letto, teneva le redini della slitta trainata da sei splendidi Husky sullo strato ghiacciato di un immenso lago canadese.
Era una domenica mattina di maggio, l'ultima, di un maggio che - le cronache - dicevano il più accaldato accaldante degli ultimi 50anni.
Il sogno di Nino era un refrigerio compensativo. Dormivano anche i soliti rumori di quella zona. Da quando la reggia di Venaria finì il restauro, e fu varata al pubblico, una fauna variegata di turisti prese possesso di quel territorio con barriti, starnazzi, gorgheggi, ululati, ragli, ronzii, gnaolii e via scorrendo e discorrendo tutti i dialetti italici e le lingue nippo-slave-yenky.
Si sentivano ancora solo le grida dei voli ripidi delle rondini, e Nino, passò improvvisamente la barriera del sonno. Aprì le palpebre quel tanto per sbirciare l'ora sulla sveglia sul comodino e si girò dalla parte opposta, cercando sul cuscino il fresco che aveva lasciato nell'onirico Canada.
Per un attimo pensò all'assolata giornata che a poco a poco si sarebbe fatta, e si crogiolò nel suo programma di un assoluto ozio domenicale, lo stesso naturale oziare del suo gatto, raggomitolato a ronfare ai suoi piedi, e Mara, al suo fianco, immersa ancora totalmente nelle scene proiettate sul grande schermo fantastico di desideri e vecchie memorie.
Le lenzuola trattenevano nelle loro trame i sospiri e i sussurri ispirati dal piacere, che Nino e Mara, avevano consumato prima di essere ghermiti dal dio sonnifero. Poi, giunse il momento, che l'edicola, col frastuono di saracinesca, aprì i battenti.
Con movenze da bradipo, Nino, si mise seduto, emise un lungo sbadiglio, si grattò la testa di capelli arruffati, e ciabattando, andò verso la cucina a prepararsi la colazione: una tazza tiepida di caffelatte con i biscotti del mulino che macinava con i molari buoni e quelli in cura odontoiatrica.
Mentre sorseggiava e inzuppava, rimise mano e occhi sul libro che stava leggendo: una raccolta di poesie del poeta ceco, nobel nell'84, Jaroslav Seifert. "Ho veduto solo una volta / un sole così insanguinato. / E poi mai più. / Scendeva funesto sull'orizzonte / e sembrava / che qualcuno avesse sfondato la porta / dell'inferno... ".
Richiuse lì, mettendo il segnalibro della Mondadori. Un sole così insanguinato che apriva le porte dell'inferno. Bella immagine! Uscì sul balcone, con boxer e canottiera, a dare da bere agli assetati. Il cielo aveva sguainato le lame roventi della solarità dalla custodia della notte ormai finita.
Guardò i cancelli della reggia serrati, i mattinieri compratori dei giornali, il contrasto tra la rimessa a nuovo del castello e le facce scalcinate degli edifici privati. Scendeva funesto sull'orizzonte il sole, e sembrava che qualcuno avesse sfondato la porta dell'inferno. Bella!
Gli venne voglia di mettersi alla tastiera del pc a scrivere qualcosa, qualcosa che gli stava sorgendo da una porta che piano piano si stava aprendo nella stanza affollata e stracolma di singole lettere, di sillabe, di frasi appena accennate. Faceva capolino, dallo scaffale alto della mente, l'architettura di qualcosa che voleva venire alla luce, qualcosa che gli ricordava il proprio inferno che premeva per passare la dogana, per entrare nel territorio risanato del suo presente.
Le dita cominciarono a battere sui tasti, come il pianista batte i bianchi e i neri a metterli d'accordo in una melodia, come lo scacchista che muove la pedina per una serie di altre mosse che hanno lo scopo di abbattere le schiere delle nere ombre. A lato della bocca, una sigaretta accesa, con un filo di fumo che occludeva e annebbiava a destra.
Giù, in via Mensa, cominciava il tramestio. Mara si era svegliata ma indugiava tra le lenzuola. Il gatto si strusciava di fusa sulle caviglie di Nino. Dal marasma oceanico del sottosuolo inconscio, prendeva forma, sullo schermo piatto, la multi-dimensione dello spazio senza limiti e senza tempo. E mentre dalla chiesa di piazza Annunziata si sollevò il richiamo delle campane per la messa delle otto, l'ottovolante di Nino si staccò da terra portandosi dietro la reggia. Il fiume dei turisti, che iniziava a ingrossarsi, rischiando di finire in un dirupo, si salvò nella bozza.
Mario Girolamo Gullace
Racconto: proprietà riservata
Fotografia di copertina: suggerita da Mario Girolamo Gullace
Al risveglio, in una domenica di fine maggio, ancora immerso nel sonno ma con i piedi ben saldi sul pavimento, Nino il protagonista di questo racconto breve e surreale ci introduce nel suo universo onirico e visionario. Oltre le persiane della casa, dove Mara la sua compagna sta ancora dormendo, la vita del nuovo giorno comincia il suo cammino, tutto sommato, slegato e indifferente a chi lo racconta con brevi pennellate e lo reinterpreta dalla propria specula.
RispondiElimina