Fernanda Pivano
Hamingway in Africa cacciatore stanco
Hemingway in Africa cacciatore stanco Vero solo all' alba (True at First Light, Scribner, pagine 400) e' la lunga memoria scritta da Hemingway tra il 1954 e il 1956 col titolo Diario africano (African Journal), un quarto della quale la vedova Mary, dieci anni dopo la morte dello scrittore, ha pubblicato sulla rivista "Sport Illustrated" nel numero del dicembre 1971. Questa memoria incompiuta, che Hemingway non intendeva pubblicare prima di una revisione, e' stata destinata dal suo editore Scribner alla commemorazione del centenario della nascita dello scrittore (21 luglio 1899 - 2 luglio 1961, premio Nobel nel 1954) ed e' stata curata dal figlio Patrick, chiamato dal padre Mouse (Topolino). Patrick, che ora ha 70 anni ed e' figlio di Pauline, la seconda moglie di Hemingway, conosce bene l' ambiente del libro perche' dopo la laurea all' Universita' di Harvard (nel 1950) ha comperato una fattoria in Africa e nel 1955 ha fondato una sua compagnia per l' organizzazione di safari turistici in quello che allora si chiamava Tanganika. Nelle 400 pagine della memoria romanzata Hemingway ha raccontato la storia del suo secondo safari (il primo, del 1933, gli aveva ispirato Verdi colline d' Africa (Green Hills of Africa) e uno dei suoi capolavori, il racconto La breve vita felice di Francis Macomber (The Short Happy Life of Francis Macomber). Il 6 agosto 1953 e' partito da Marsiglia per Mombasa e a Nairobi ha incontrato l' amico Mayito Meocal e Earl Theisen, il fotografo della rivista "Look" che ha sponsorizzato il safari e sulla quale Hemingway avrebbe pubblicato nell' aprile 1954, col titolo Il regalo di Natale (The Christmas Gift), una storia in chiave umoristica di due terribili incidenti aerei. Quando e' arrivato, Hemingway ha trovato la zona di Kikuyu, a nord di Nairobi, in stato di emergenza per la lotta d' indipendenza dei Mau Mau guidata da Jomo Kenyatta; ma la lotta non ha raggiunto la fattoria del "cacciatore bianco" Philip Percival (detto Pop nel libro) a Machakos, e li' Hemingway ha cominciato la caccia, ottenendo il permesso di continuarla nelle riserve di Kajado e di Magadi, controllate dal supervisore guardacaccia Denis Zaphiro, detto nel libro G.C. (dalle iniziali di Gin Crazed, Pazzo di Gin). Ma Hemingway beveva troppo, aveva perso la passione di cacciare e piu' che altro contemplava il paesaggio e gli animali, creando qualche problema per il fotografo di "Look". Questo traspare tra le righe del libro, in qualche descrizione lirica e nella esaltazione della bellezza delle belve; ma il tono generale rispecchia la vanteria che faceva parte della sua immagine pubblica, sempre piu' diversa dalla sua reale fragilita' e conduce questa Memoria a essere quasi una involontaria parodia dei peggiori aspetti di Verdi colline d' Africa. La storia e' concentrata sull' uccisione di un leone da parte della moglie Mary, in un primo tempo descritta in chiave satirica un po' come la "Vecchia Signora" di Morte nel pomeriggio (Death in the Afternoon), ma poi riabilitata come coraggiosa cacciatrice e via via come donna bella, affascinante, spiritosa; in una lode che si svolge in contemporanea con l' adulterio di Hemingway innamorato di Debba, una ragazzina della tribu' Makamba. Forse per compiacere Debba, lo scrittore stanco assume un aspetto simile a quello degli indigeni: si rade i capelli, va a caccia con la lancia (ma senza usarla), si tinge gli abiti col color ruggine caro ai Masai, si adatta al codice di comportamento del luogo. La storia della caccia al leone di Mary si svolge nella prima meta' del libro, quella degli amori con Debba nella seconda, durante un' assenza di Mary andata a Nairobi a comprare i regali di Natale. Di Debba non si parla nella autobiografia di Mary How it was e Patrick, che Hemingway ha raggiunto in Tanganika, ha affermato ai giornalisti di non averla mai vista; ma la leggenda vuole che lo scrittore l' abbia "sposata" comprandola con qualche sacco di farina e di zucchero, qualche capra e qualche numero di "Life" preteso dalla ragazzina. Naturalmente la storia di Debba e' l' argomento determinante nella curiosita' dei lettori; ma in realta' e' solo il polverone alzato per coprire la fondamentale debolezza di un libro non finito che non per niente Hemingway non aveva considerato pronto per la pubblicazione.
Questo solleva l' antico problema se sia lecito o no pubblicare opere non licenziate dall' autore: un problema tanto piu' incalzante per Hemingway, perfezionista sempre insoddisfatto, che non credo avrebbe visto volentieri questi brani, poco piu' che appunti, spesso attaccati l' uno all' altro senza sutura e in almeno due casi ripetitivi, tali da rivelare il suo metodo di scrittura, che consisteva nel raccontare una stessa storia da diverse angolazioni prima di scegliere l' angolazione definitiva; specialmente non credo proprio che avrebbe visto volentieri certe descrizioni di personaggi sconnessi, in attesa di una revisione che li riassestasse. Forse avrebbe anche ridimensionato le ripetizioni, nei dialoghi, di parole per noi incomprensibili ma ricorrenti di questa o quella lingua africana, che fanno auspicare la presenza di un glossario alla fine del libro. Patrick ha fatto del suo meglio e certamente in buona fede. Ma ancora una volta c' e' da sperare che questa violenza esercitata su pagine rimaste allo stato di appunti finisca e che questo grandissimo stilista che ha cambiato il modo di scrivere in tutto il mondo venga lasciato in pace. Di lui, nel libro, restano alcune immagini isolate, alcune descrizioni condotte con la paratassi (la successione di coordinate) cara a Gertrude Stein e da lui resa famosa, alcuni dialoghi conclusi da quelle sue zampate di sarcasmo mozzafiato, il ritratto classico del suo ideale di donna, la sua ostilita' per i biografi che parlano di scrittori mai incontrati. Speriamo che i lettori riconoscano le sue pagine vere e non si formalizzino su quelle che sono solo appunti provvisori piu' o meno violentati.
Articolo di Fernanda Pivano, Corriere della Sera, 17 febbraio, 1999 pagina 35
Fotografie di copertina e all'interno: free copy da internet
Hemingway cacciatore, pescatore, boxeur, uomo che sfidava sempre e comunque il destino. In ogni attività che svolgeva metteva sempre tutto se stesso. Era implacabile e voleva vincere a ogni costo. S'è parlato di machismo, animalismo e tanto altro. La Pivano con questo articolo - pubblicato nel Corriere della Sera - ripercorre alcuni momenti della sua vita.
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