Autoritratto
di un naufrago
Robinson
Crusoe nell’isola disabitata
Come ho già detto, ero
alquanto impaziente di recuperare la mia barca, sebbene fossi molto riluttante
a correre nuovi rischi; perciò di tanto in tanto meditavo sulla possibilità di
riportarla indietro lungo la costa, mentre in altri momenti stavo benissimo
anche senza di essa. Nondimeno covavo in me una strana smania di ritornare in
quel punto dell’isola ove, come ho già raccontato, nel corso del mio ultimo
giro di esplorazione ero salito in cima a una collina per studiare il profilo
della costa e la direzione delle correnti, e di decidere così sul da farsi. Questa
sorta di frenesia aumentava di giorno in giorno, e alla fine decisi di far
ritorno laggiù per via di terra, seguendo la spiaggia. Così feci. Ma se una
persona qualsiasi, in Inghilterra, avesse incontrato un uomo del mio aspetto, o
ne sarebbe stata impaurita, o si sarebbe sbellicata dalle risa. Anch’io, del
resto, mi fermavo sovente a guardarmi, e non potevo esimermi dal sorridere all’idea
di circolare per le strade dello Yorkshire vestito ed equipaggiato in quella
maniera. Siate dunque tanto cortesi dal farvi un’idea della mia persona in base
alla seguente descrizione.
Portavo un grande
copricapo, un berretto di pelo di capra alto e informe, con un lembo che mi
pendeva sul dietro, sia per proteggermi dal sole, sia per impedire che la
pioggia mi colasse dietro il collo, nulla essendo, in quel clima, tanto nocino
quanto l’acqua che filtra sotto gli indumenti.
Avevo una corta casacca
di pelle di capra, le cui falde mi scendevano fino a mezza coscia, e un paio di
brache dello stesso materiale, aperte al ginocchio. Queste brache erano fatte
con la pelle di un vecchio caprone, e il pelo pendeva così lungo da entrambe le
parti, che arrivava fino a metà polpaccio come un paio di pantaloni. Non avevo
né scarpe né calze, ma ai piedi portavo certe strane cose, non saprei nemmeno
io come chiamarle, simili in qualche modo a un paio di uose, che avvolgevo
intorno alle gambe e allacciavo di lato come fossero state ghette; ma di una
forma barbara, come d’altronde tutti i miei indumenti.
Portavo una lunga
cintura di pelle di capra essiccata, che allacciavo usando due piccole cinghie
dello stesso cuoio, in sostituzione delle fibbie, e ai lati della quale, in una
specie di fodero, pendevano al posto di una spada e di un pugnale, una piccola
sega e un’accetta. Avevo poi una seconda cintura, meno larga ma allacciata con
lo stesso espediente, che portavo a tracolla; e in fondo a questa, sotto il mio
braccio, erano fissate due borse, anch’esse di pelle di capra, una delle quali
mi serviva per tenervi la polvere, e l’altra le pallottole. Sulla schiena
reggevo un cesto, sulle spalle il fucile, e sopra la testa un orrendo ombrello
di pelle di capra, sgraziato e sbilenco, che tra l’altro era l’oggetto più
utile tra quanti me ne portavo appresso, fatta eccezione per il fucile. Quanto alla
mia faccia, il suo colore non era poi tanto simile a quello di un mulatto, ma
invece parrebbe lecito attendersi da un uomo che non se ne curava affatto, e
che viveva in un clima tropicale. Da principio mi ero lasciato crescere la
barba fino ad averla lunga circa un quarto di iarda; ma poi, dal momento che
forbici e rasoio non mi mancavano, me l’ero tagliata abbastanza corta. Solo sul
labbro superiore mi ero lasciato crescere un paio di mustacchi alla maomettana,
come ne avevo visti portare da certi Turchi che avevo conosciuto a Salé: giacché
i Mori non li portavano a quel modo, mentre i Turchi sì. Non oso dire che
questi miei baffi, o mustacchi, fossero tanto lunghi da potervi appendere il
cappello, nondimeno erano di foggia e lunghezza così spropositate, che in Inghilterra
li avrebbero giudicati né più né meno spaventosi.
Ma tutto questo sia
detto per inciso. Infatti il pubblico disposto a osservarmi era così scarso,
che non era il caso di attribuire la minima importanza al mio aspetto fisico. Così abbigliato, intrapresi dunque il mio
viaggio e rimasi fuori per cinque o sei giorni.
* Testo,
tratto da Robinson Crusoe di Daniel Defoe, Garzanti i grandi libri, novembre
1999, XVIII edizione, pp. 159-161. Traduzione a cura di Riccardo Mainardi.
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Fotografia, riproduzione di Robinson Crusoe scaricata free copy da internet.